A cura di Andrea Lenzi
Presidente del Comitato di Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Presidente dell’Health City Institute

 

Che aspetto avrà il pianeta Terra nel 2050?

Potrà sostenere un incremento di oltre due miliardi di abitanti?

Le nostre città come si evolveranno?

I governi saranno in grado di rispondere alla crescente domanda di salute?

 Partendo dal presupposto che i margini di azione esistono e che il futuro non è già stato stabilito, occorre avere un approccio integrato per affrontare i problemi di salute pubblica.

La vivibilità del Pianeta è la più straordinaria delle sfide. E questa sfida si vince con i grandi accordi mondiali – certamente – ma anche con tutte quelle iniziative che migliorano la qualità del nostro ambiente e dunque la vita quotidiana dei cittadini.

Ma la vivibilità del Pianeta è, dunque, anzitutto la vivibilità delle città e la correlazione tra urbanizzazione e salute è stato il tema del side event “Health in the City” del G7 Salute a presidenza italiana, voluto dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin.

 

L’urbanizzazione è un fenomeno politico che merita la massima attenzione da parte dei Governi e che deve indurre numerose considerazioni in tema di sostenibilità del nostro Pianeta.

Nel 1800 solo il 2% della popolazione mondiale viveva nelle città e nel 1960 la popolazione che abitava nelle città era il 34%. Nel 2014 è aumentata al 54%, con una crescita continua. Oggi le città occupano poco meno del 5% della superfice totale della terra, ma si stima che da oggi al 2030 le città si espanderanno di 1.2 milioni di Km2, una superficie che equivale a 20.000 campi da football.

Continuando a questo ritmo il 10% del territorio mondiale sarà costituito da città e si stima che nel 2050 il 64.1% delle nazioni in via di sviluppo e l’ 85,9% di quelle sviluppate saranno urbanizzate.

Una crescita che ha un impatto sull’economia globale del Pianeta se si considera che 600 agglomerati urbani generano il 60% del PIL globale.

E se nel 2050 sette persone su dieci vivranno in aree urbane, allora dobbiamo necessariamente chiederci quali saranno le condizioni di vita nelle aree urbane e quale sarà l’impatto sulla salute.

 

Oggi dobbiamo parlare di megalopoli che hanno una popolazione superiore a molti Stati nel mondo. L’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 1948 definiva la salute come  “…uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità” e invitava i governi ad adoperarsi responsabilmente, attraverso un programma di

educazione alla salute, per la promozione di uno stile di vita consono allo sviluppo di condizioni pratiche in grado di garantire ai cittadini un alto livello di benessere.

Oggi, all’alba del terzo millennio, in tutto il mondo, alla luce di nuove conoscenze socioculturali non solo mediche, di una maggiore aspettativa di vita alla nascita, di politiche mirate di welfare, il concetto di salute si è ampliato coinvolgendo altri aspetti più globali e importanti della vita dell’individuo.

 

Questo nuovo concetto di salute non si riferisce meramente alla sopravvivenza fisica o all’assenza di malattia, ma coinvolge anche gli aspetti psicologici e mentali, le condizioni naturali, ambientali, climatiche ed abitative, la vita lavorativa, economica, sociale e culturale e tutto questo ha nelle città il fulcro dell’azione delle politiche sanitarie.

Oggi questa nuova definizione di salute che parte dalle città, ha permesso all’ OMS di coniare il termine di healthy city, che non è una città che ha raggiunto un particolare livello di salute pubblica. È piuttosto una città che è conscia dell’importanza della salute come bene collettivo e che ha messo in atto delle politiche chiare per migliorarla, principalmente attraverso la promozione e implementazione di attività volte a rendere i cittadini fisicamente attivi nella vita quotidiana.

 

La città è un bene collettivo o comune, in quanto i cittadini residenti negli spazi urbani condividono non solo gli spazi comuni, quali parchi, strade e servizi, ma anche la cultura e la salute.

Il bene comune richiama tutti i cittadini all’etica e al rispetto delle regole di convivenza civile che ci siamo date, ad un circolo di comportamenti virtuosi fatto di rispetto reciproco, in cui non c’è chi guadagna e chi perde, ma si vince tutti, perché si agisce nell’interesse di tutti e nel rispetto di ciascuno.

 

Bene Comune sono uomini e donne, cittadini che non si preoccupano semplicemente di pagare le tasse, ma costruiscono, sostengono, giorno dopo giorno, la vita della società, della collettività, puntando ad un’economia che cerca di essere moderna, inclusiva e sostenibile, al “servizio del bene comune”. Se la politica dev’essere veramente al servizio dei cittadini, ne consegue che non può essere sottomessa al servizio dell’economia e della finanza e deve diventare espressione dell’insopprimibile bisogno di vivere insieme in unità e coltivare valori comuni, quale la ricerca della salute.

Il bene comune in questo contesto rappresenta un valore guida e un obiettivo da perseguire, chiamando tutti a raccolta per consegnare alle future generazioni un sistema salute altrettanto equo e sostenibile, con i sindaci e gli amministratori locali come garanti di una sanità equa e che consideri la salute della collettività come un investimento e non solo come un costo.

Bisogna chiamare i cittadini ad agire in prima persona, non solo attraverso comportamenti virtuosi ma anche attraverso il passaparola, la sensibilizzazione e l’impegno a far riflettere su questi temi chi è vicino a noi.

Oggi bisogna chiedersi nei prossimi decenni che aspetto avrà il Pianeta Terra. Sarà in grado di sostenere un incremento di oltre due miliardi di abitanti? Le nostre città come si evolveranno? I governi saranno in grado di rispondere alla crescente domanda di salute? Partendo dal presupposto che i margini di azione esistono e che il futuro non è già stato stabilito, occorre avere un approccio integrato per affrontare i problemi di salute pubblica.

Oggi i problemi più pressanti possono essere compresi e risolti solo se si effettua un’analisi dei

determinanti sociali, economici e ambientali dei fattori di rischio che hanno un impatto sulla salute. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha deciso di dare priorità proprio a questi temi inserendoli nell’ agenda 2014-2019.

 

Il rapporto tra salute, qualità della vita e ambiente è ormai tema di centrale interesse per le scienze sociali, ambientali e mediche. L’organizzazione della città e, più in generale, dei contesti sociali e ambientali, è in grado di condizionare e modificare i bisogni emergenti, gli stili di vita e le aspettative dell’individuo che dovrebbero, dunque, avere delle conseguenze sulla definizione e sull’orientamento delle politiche pubbliche.

È necessario avviare un processo che aumenti le possibilità di controllo, da parte dei singoli e della comunità, dei determinanti di salute, il cui studio costituisce la base e la sostanza della sanità pubblica. Già la 1° Conferenza Internazionale sulla Promozione della Salute, riunita a Ottawa il 21 novembre 1986, invitava i vari livelli di governo (sovranazionale, nazionale, territoriale) ad intervenire a supporto di strategie e programmi di promozione della salute nei diversi paesi, nella consapevolezza che la promozione della salute richiede un’azione coordinata da parte di tutti i soggetti coinvolti, e non solo dei sistemi sanitari.

 

Nel 2010, per la prima volta nella storia dell’umanità è stato osservato che più di metà della popolazione mondiale risiedeva in città. Oggi Tokyo ha 37 milioni di abitanti, Delhi 22 milioni, Città del Messico 20 milioni e sono delle megalopoli. Nei prossimi tre decenni si stima che la

popolazione urbana arriverà a rappresentare il 70% della popolazione globale. La città offre maggiori opportunità rispetto alla campagna: lavoro, cure e servizi sanitari, istruzione. Ma lo sviluppo urbano determina nuovi problemi in termini di equità, creando tensioni sociali: nei paesi in via di sviluppo un terzo dei residenti delle città vive in condizioni di baraccopoli urbane.

 

L’ONU ha stimato che entro il 2050 il numero delle persone che vivranno in baraccopoli urbane potrebbe triplicare se non saranno identificate strategie mirate. Questo significa che la gestione delle città è una delle grandi sfide e che l’approccio interdisciplinare dell’impatto sociale, economico e ambientale sulla salute deve ancora essere studiato e compreso pienamente.

In Italia il 37% della popolazione risiede nelle 14 Città Metropolitane e il tema della salute sta diventando una priorità di azione amministrativa da parte dei Sindaci. L’urbanizzazione e la configurazione attuale delle città offrono per la salute pubblica e individuale tanti rischi quante opportunità. Se le città sono pianificate, ben organizzate e amministrate coscientemente, le opportunità possono superare i rischi.

 

La città può offrire grandi opportunità di integrazione tra servizi sanitari, servizi sociali, servizi culturali e ricreativi. Il futuro della sostenibilità dei sistemi sanitari nel Mondo passerà attraverso lo studio dei determinanti della salute nelle grandi città.

Dobbiamo, quindi, prendere atto che si tratta di un fenomeno sociale inarrestabile ed una

tendenza irreversibile che va amministrata ed anche studiata sotto numerosi punti di vista quali l’assetto urbanistico, i trasporti, il contesto industriale e occupazionale e soprattutto la salute.

Le città stesse ed il loro modello di sviluppo sono oggi in prima linea nella lotta contro tutte le criticità connesse alla crescente urbanizzazione e, ovviamente, la salute pubblica occupa fra queste un posto di primaria importanza.

Nel settembre del 2015, 193 Stati membri delle Nazioni Unite si sono riuniti a New York con l’obiettivo di adottare una serie di 17 obiettivi del Sustainable Development Goals (SDGs). I nuovi SDGs coprono una vasta gamma di questioni critiche globali come: il porre fine alla povertà, il raggiungimento universale dell’istruzione e la lotta ai cambiamenti climatici. Tuttavia è importante come per la prima volta sia stato inserito un preciso obiettivo (SDG 11) dedicato a rendere la città inclusiva, sicura, sostenibile e capace di affrontare il cambiamento. Strumenti chiave per raggiungere questo obiettivo come lo sviluppo abitativo, la qualità dell’aria, la buona alimentazione e il trasporto vengono individuati chiaramente e diventano importanti i determinanti della salute delle persone nelle città.

Questo si inserisce nel più generale tema di come migliorare la salute come priorità globale nella programmazione che va dal 2016 al 2030 con un particolare punto (SDG 3) focalizzato sulla realizzazione della promozione del benessere psico-fisico per tutti e per tutte le fasce di età.

La prevalenza e alta densità della popolazioni nelle metropoli, la complessità dei fattori di rischio che influenzano la salute, l’impatto delle disuguaglianze sulla salute, l’impatto sociale ed economico sono temi da affrontare e discutere, per agire concretamente sui determinanti della salute e non con interventi a spot che non risolvono i problemi di fondo e non permettono di comprendere a pieno la sfida alla quale siamo chiamati.

 

Le città oggi non sono solo motori economici per i Paesi, ma sono centri di innovazione e sono chiamate anche a gestire e rispondere alle drammatiche transizioni demografiche ed epidemiologiche in atto.

Nel 2014, una gruppo di sindaci e leader della maggiori città a livello mondiale si sono riuniti e impegnati per affrontare il cambiamento climatico del Pianeta riducendo le emissioni di gas serra. Questa iniziativa è stata lanciata e promossa dalle Nazioni Unite (ONU), attraverso un network formato dal Cities Climate Leadership Group (C40), da United Cities and Local

Governments Network (UCLG)  e

dall’International Council for Local

Environmental Initiatives (ICLEI).

Attraverso questo accordo, 206 città, per una popolazione complessiva di 270 milioni di abitanti, si sono impegnate ad intraprendere un percorso specifico con un approccio trasparente e con delle strategie precise, per ridurre nelle realtà urbane il livello di emissioni delle

polveri sottili, riducendo così la vulnerabilità dei loro territori ai cambiamenti climatici.

Il 15 ottobre del 2015, i Sindaci di 115

megalopoli, per un totale di 400 milioni di persone residenti, in occasione dell’EXPO 2015 hanno firmato il Milan Urban Food Policy Pact. Questo impegno comporta una serie di azioni locali per affrontare alcune altre emergenze globali che vanno dalla fame, alla malnutrizione e allo spreco di cibo. Le città sottoscrivendo il documento si sono impegnate a sviluppare

sistemi alimentari sostenibili e cibi sani a prezzi accessibili per tutte le persone, ridurre gli sprechi alimentari che nelle città sono altissimi in un quadro basato sui diritti umani.

Questi due esempi sottolineano il ruolo che i Sindaci e le città si sono dati per affrontare lo sviluppo del pianeta e dei popoli attraverso un approccio proattivo ed oggi i sindaci debbono affrontare con altrettanto impegno il tema dei determinanti della salute nelle città.

Quindi la Politica e gli Amministratori ed in particolare i Sindaci dovranno guardare alla sempre maggiore urbanizzazione in termini nuovi, comprendendo che il carico di disabilità che le malattie croniche portano con sé, come naturale fardello, inciderà sullo sviluppo e sulla sostenibilità delle città da essi governate.

Si sta venendo a creare un nuovo modello di welfare urbano, che va compreso, analizzato e studiato in tutti i suoi possibili dettagli. Un welfare che, se pur riferito a un quadro di riferimento nazionale, deve essere valutato oggi sempre più nei contesti locali ponendo nuovi quesiti e nuovi scenari. Diviene necessario chiedersi se e in cosa differiscono i sistemi di welfare tra le grandi città e le piccole città; se oggi si stia passando da un sistema di welfare state ad un sistema di welfare local e se le città saranno disponibili ad attivare strategie che portino a modifiche ed innovazioni negli obiettivi urbanistici, ambientali e incidenti sui problemi socio-economici, perché solo allora  gli amministratori ed i cittadini stessi potranno essere più propensi a sostenere il miglioramento della qualità di vita e della salute attraverso un progressivo miglioramento del modo di vivere.

Un approccio integrato al SDGs sarà utile per il raggiungimento degli obiettivi per la salute nelle città perché molte delle sfide richiedono la collaborazione multisettoriale.

 

È chiaro che un aumento dell’aspettativa e della buona qualità di vita correlata ad una riduzione dei decessi prevenibili a causa di malattie non trasmissibili, porterà come conseguenza alla creazione di strutture di coordinamento tra diversi settori della governance urbana che interagiscono con la salute. Un coordinamento che dovrà avvenire attraverso il coinvolgimento di diversi livelli di governo – locale, regionale e nazionale – ed essere supportato da azioni globali e quale fattore primario da una osservazione dinamica dei determinanti della salute nelle città.

Si configura l’esigenza di un Osservatorio della salute nelle città che riesca ad individuare le criticità e a favorire le buone pratiche e rendere omogenei i vantaggi al fine di non creare ulteriori discriminazioni.

Infatti, nelle città i vantaggi per la salute possono essere notevolmente differenti per alcune persone rispetto ad altre. È oggi già noto che, in medesimi contesti urbani, vi sono aspettative di vita differenti. Ad esempio, a Londra le persone vivono più a lungo se sono residenti a Westminster, che dista dalla City poche fermate di metropolitana, laddove, invece, gli abitanti di un sobborgo decentrato di Baltimora, vivono molti meno anni rispetto agli abitanti di altre zone della stessa.

 

L’epigenetica da tempo studia la correlazione tra ritmo circadiano, ambiente e insorgenza di alcune malattie. Gli studi recenti ci dimostrano come vi sia una stretta correlazione tra aspetti bio-genetici, stili di vita individuali e ambiente nel quale viviamo. Sono fattori che debbono essere investigati con metodicità e che devono portare ad identificare i motivi delle differenti situazioni tra le città e all’interno delle stesse nei singoli quartieri.

Bisogna creare una roadmap su

urbanizzazione e salute. Per aumentare la consapevolezza riguardo le sfide per la salute associate con l’urbanizzazione e la necessità di affrontare le stesse attraverso la pianificazione urbana ed azioni intersettoriali, in linea con le raccomandazioni dell’ OMS, bisogna arrivare a tracciare una roadmap per promuovere azioni concrete e strategie governative riguardo ai rischi per la salute conseguente all’urbanizzazione. Una roadmap che prenda in esame come l’urbanizzazione porti a una sempre maggiore esposizione dei cittadini a fattori ambientali (ad esempio l’inquinamento dell’aria, acqua, acustico e a difficoltà derivanti da igiene delle strade, smaltimento delle acque reflue e dei rifiuti, ecc.) e, quindi, a differenti fattori di rischio per la salute. Una roadmap che individui in ogni singola realtà cittadina le azioni da promuovere per evitare disparità e consentire a ogni cittadino di godere una vita in salute come bene comune e come motore di sviluppo e ricchezza di tutti.

L’Urban Health Rome Declaration firmata durante il G7 side eventHealth in the Cities” dal Ministro della Salute Lorenzin e dal

Presidente dell’ANCI Decaro, che segue il “Manifesto della Salute nelle Città:

bene comune”, in quindici punti vuole stimolare la cultura del fare per promuovere la salute nelle città, facendo diventare la stessa un punto prioritario dell’azione di Governo e dei Sindaci.