Tratto dall’ Health Policy In Non-Communicable Diseases n°1 2017

A cura di Walter Ricciardi, Presidente Istituto Superiore di Sanità;
Ranieri Guerra, Direttore Generale della Prevenzione del Ministero della Salute degenerative;
Daniela Galeone, Direttore Promozione della salute e prevenzione e controllo del Ministero della Salute;
Roberta Siliquini, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità.

Agli inizi del XIX secolo, soltanto il 5% della popolazione mondiale viveva in aree urbane; alla fine dello stesso secolo questa quota raggiungeva il 46% circa e si stima che entro il 2050 il numero di persone che vive in città dovrebbe arrivare a circa 2,5 miliardi.

L’urbanizzazione, dunque, a livello mondiale è probabilmente il cambiamento demografico più importante del secolo scorso e nel nostro secolo rappresenta un “cambiamento sentinella” di come si sia radicalmente modificato il modo di vivere della popolazione mondiale, rispetto a un passato neanche poi così lontano. Questa trasformazione del modo di vivere ha portato con sé significative ripercussioni in ambito socio-sanitario, tanto da attirare l’attenzione non solo del mondo scientifico ma anche di quello letterario.

Nel corso degli anni, infatti, diversi sono stati gli scrittori che si sono interessati alle città e a come esse potessero influenzare la salute pubblica. Scrittori di diverse epoche nella storia

dell’Europa occidentale hanno considerato le città come posti dannosi per la salute e, per molti versi, soprattutto nelle fasi iniziali di sviluppo delle grandi città, esse avevano caratteristiche indiscutibilmente legate a una cattiva salute. Così, mentre le città assumevano un ruolo sempre maggiore nella vita dei Paesi europei, la densità di popolazione, il numero di gruppi emarginati, l’inquinamento e la criminalità contribuivano a determinare peggiori condizioni di salute rispetto alle aree extra-urbane.

Scrittori, giornalisti e teoreti sociali iniziarono, pertanto, a occuparsi dei problemi endemici nelle città crescenti, suggerendo che le città stesse avevano un ruolo nella formazione del benessere individuale. Tuttavia, mentre nel XVIII e nel XIX secolo in molte realtà era evidente il rapporto tra il contesto urbano e la cattiva salute, all’inizio del XX secolo la situazione ha iniziato a cambiare e, in molte città occidentali, l’ambiente urbano è migliorato in modo evidente, contestualmente alla salute delle popolazioni urbane. Oggi in molti Paesi la salute aggregata – come misura dell’aspettativa di vita, mortalità per tutte le cause e molti altri indicatori di salute – è migliore in molte aree urbane rispetto ad aree non urbane.

Nel corso dei secoli, pertanto, è maturato l’interesse per la cosiddetta “urban health” e ciò è legato proprio all’inversione di tendenza rispetto al passato, per cui quello urbano è diventato il principale contesto abitativo della popolazione mondiale ed è evidente che esso influenzi in modo sia diretto che indiretto quelli che noi consideriamo fattori di rischio o determinanti di salute.

Dunque l’urban health, intesa sia come campo di ricerca che come interventi applicativi, è uno strumento fondamentale della sanità pubblica e si occupa dei determinanti di salute e malattia nelle aree urbane. 

Diverse caratteristiche delle città, infatti, possono essere importanti determinanti di salute, ognuno dei quali può avere multiple implicazioni per i cittadini.

I tre elementi principali che possono influenzare la salute umana sono l’ambiente fisico, l’ambiente sociale e la disponibilità di accesso alla salute e ai servizi sociali.

Per ambiente fisico urbano si intende l’ambiente costruito: l’aria che i cittadini respirano, l’acqua che bevono, il rumore indoor e outdoor, le aree verdi delle città, le condizioni geologiche e climatiche della zona in cui la città sorge.

L’ambiente sociale urbano è, invece, una dimensione molto più complessa che può influenzare la salute delle persone in vario modo, in quanto racchiude diversi ambiti, quali strutture occupazionali, mercati del lavoro, processi sociali ed economici, ricchezza, servizi sociali, sanitari e umani, forza delle relazioni, governo, relazioni razziali, disuguaglianza sociale, pratiche culturali, arti, istituzioni e pratiche religiose.

A questa dimensione, quindi, è strettamente collegata anche la disponibilità di servizi sociosanitari, che è influenzata da numerose variabili e che in molti contesti determina enormi differenze tra le classi sociali, nel momento in cui non venga garantito un uguale accesso ai servizi per tutti i cittadini e i gruppi sociali. Questo fa sì che si vengano a determinare importanti diseguaglianze nella salute, tema che è ormai alla costante attenzione della sanità pubblica a livello europeo, al punto che si è passati dalla ricerca delle cause alla definizione di interventi di correzione, con l’obiettivo ultimo di migliorare lo stato di salute della popolazione. In particolar modo, l’attenzione è rivolta a contrastare quella che oggi viene definita l’epidemia della cronicità, fenomeno complesso che vede tra i suoi determinanti impliciti anche le diseguaglianze di salute.

Com’è ormai ben noto, le patologie croniche rappresentano una delle principali sfide della sanità del XXI secolo. Si stima che nel 2020 esse potrebbero essere responsabili del 73% di tutte le morti e del 60% del burden of disease globale, a fronte del 60% dei decessi totali e del 43% del

burden globale che si osservava nel 1998.

Tuttavia, molto può essere fatto per contrastare questa tendenza, perché alla base dell’insorgenza e della diffusione delle malattie croniche vi sono quattro principali fattori di rischio modificabili: fumo di sigaretta, scorrette abitudini alimentari, inattività fisica e abuso di alcol.

Questi, a loro volta, possono determinare quelli che sono i cosiddetti fattori di rischio intermedio, ossia ipertensione, iperglicemia, ipercolesterolemia e obesità. Oltre a ciò, però, le malattie croniche sono legate anche a fattori di rischio non modificabili, quali l’età e la predisposizione genetica e a determinanti impliciti, spesso definiti come “cause delle cause”, tra cui ritroviamo appunto l’urbanizzazione. Le malattie croniche, pertanto, hanno un’origine multifattoriale, derivando da un’interazione complessa tra gli individui e il loro ambiente.

Le possibilità di salute, dunque, dipendono anche dalle opportunità di promozione della salute che le persone hanno e questo determina anche, in larga misura, la disomogenea distribuzione di malattie e fattori di rischio nella popolazione.

I gruppi svantaggiati dal punto di vista socioeconomico, infatti, presentano un rischio almeno doppio di sviluppare malattie gravi e di morire prematuramente rispetto ai gruppi più avvantaggiati; in tutti i Paesi europei, inoltre, i livelli di istruzione, la classe lavorativa e il reddito si sono dimostrati fonti di squilibrio nel diritto alla salute.

Appare evidente, pertanto – dato il burden derivante dallo sviluppo e dalla diffusione delle malattie croniche e considerando che alla loro origine vi sono principalmente quattro fattori di rischio modificabili – che l’arma principale che abbiamo a disposizione per contrastare quella che è ormai una vera e propria epidemia è la prevenzione. Come sottolinea, infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), migliorare la salute delle persone è un obiettivo raggiungibile e proprio agendo globalmente sui principali fattori di rischio si può già ridurre grossa parte del carico di morti premature, malattie e disabilità che grava sulla maggior parte dei Paesi occidentali. Per fare ciò è necessario che vengano strutturati interventi community-based che abbiano come obiettivo principale la prevenzione delle malattie e delle loro complicanze, attraverso azioni mirate che raggiungano l’intera popolazione in modo capillare e quindi non si rivolgano in via esclusiva alle persone affette dalla condizione cronica o a quelle ad alto rischio. Ed è proprio questo l’approccio alla base della strategia europea formulata dal Comitato Regionale per l’Europa dell’OMS nell’autunno del 2006 per supportare i Paesi nella risposta alle malattie croniche.

Strategia per la prevenzione e il controllo delle malattie croniche che si fonda su sei messaggi chiave:

  • la prevenzione è efficace quanto più è duratura e va considerata un vero e proprio investimento in salute e sviluppo;
  • la società dovrebbe offrire un contesto ambientale che faciliti le scelte più salutari;
  • i servizi sanitari dovrebbero adattarsi a questo obiettivo, affrontando l’attuale carico di malattia e aumentando le opportunità di promozione della salute;
  • le persone dovrebbero essere messe nelle condizioni di promuovere la propria salute, di interagire con i servizi sanitari ed essere parte attiva della gestione delle malattie;
  • per garantire il diritto alla salute è fondamentale che tutti abbiano accesso alla promozione della salute, alla prevenzione delle malattie e ai servizi sanitari;
  • a qualsiasi livello, i governi hanno la responsabilità di proporre politiche di intervento all’insegna della salute e di assicurare un’azione integrata in tutti i settori.

Nell’ambito di questa più ampia cornice europea, la sfida è stata raccolta anche dal nostro Paese e con DPCM del 4 maggio 2007 il Governo italiano, in accordo con Regioni e Province

Autonome, ha approvato il programma nazionale “Guadagnare Salute. Rendere facili le scelte salutari”. Il programma nasce dall’esigenza di rendere più facili le scelte di salute della popolazione e quindi si propone, come intervento “multicomponenti”, di investire nella prevenzione e nel controllo delle malattie croniche attraverso la messa in atto di campagne informative mirate a promuovere l’adozione di corretti stili di vita, sensibilizzando e responsabilizzando le persone sulle proprie scelte di salute.

“Guadagnare salute” privilegia la comunicazione per la salute come componente integrata degli interventi di prevenzione e come strumento importante di informazione e conoscenza per le persone e si sviluppa attraverso tre tipi di comunicazione istituzionale:

  1. piani di comunicazione specifici per ogni intervento;
  2. una campagna informativa che mette il cittadino al centro delle scelte per la propria salute e impegna i governi a rendere possibili le scelte di salute;
  3. un programma specifico in collaborazione con il mondo della scuola.

“Guadagnare salute”, inoltre, si configura come un programma trasversale governativo e si articola in quattro programmi specifici basilari:

  • comportamenti alimentari salutari;
  • lotta al tabagismo;
  • lotta all’abuso di alcol;
  • promuovere l’attività fisica.

Questi programmi specifici nascono per rendere consapevole il cittadino di quelli che sono i comportamenti a rischio per la salute e per richiamarlo alla propria responsabilità individuale nei confronti delle scelte di salute che lo riguardano e che, necessariamente, avranno delle conseguenze nel lungo termine.

D’altra parte, però, se è vero che il cittadino deve assumersi la responsabilità delle proprie scelte di salute, i governi sono responsabili di creare un ambiente favorevole a queste scelte.

Ognuno dei programmi proposti, inoltre, è intersettoriale in quanto coinvolge in modo attivo diversi enti istituzionali.

I diversi stakeholder, quindi, integrano le proprie competenze e attività al fine di evitare la frammentarietà degli interventi, oltre che la dispersione di risorse umane ed economiche; in questo modo si riesce a garantire la continuità e l’intersettorialità delle azioni promosse. All’interno, poi, dei quattro programmi specifici basilari si articolano tutta una serie di programmi che, allineandosi con i macro-obiettivi di “Guadagnare salute”, affrontano temi specifici.

In particolar modo, in riferimento al discorso di cui sopra dell’urbanizzazione come realtà ormai predominante in Europa e, al contempo, una “causa delle cause” delle malattie croniche, “Guadagnare salute” in città significa soprattutto stimolare le persone – in particolar modo le fasce più giovani della popolazione, ma non solo – a considerare l’attività fisica come momento di benessere fisico e psicologico, piuttosto che mera attività agonistica. Questo modo di concepire l’attività fisica deve essere conciliato con gli spostamenti e i ritmi frenetici che spesso la città impone.

Tra i suoi obiettivi, infatti, “Guadagnare salute” si pone anche quello di favorire l’attività fisica nell’ambiente urbano.

A tal proposito – indipendentemente dalla infrastrutture che potrebbero sicuramente essere necessarie per creare opportunità di movimento e la cui realizzazione, però, dipende dalla disponibilità economica degli enti locali – molto può essere fatto, con il supporto delle Amministrazioni, in termini di azioni di promozione della salute in città. Tra le ipotesi e le strategie di intervento di “Guadagnare salute”, infatti, vi sono proposte relative alla possibilità di garantire la sicurezza di pedoni e ciclisti, al fine di facilitare la scelta di un trasferimento fisicamente attivo, così come l’incentivazione delle politiche di chiusura al traffico dei centri storici, che offrono un’opportunità di movimento a tutte le età.

In conclusione, la rapida diffusione delle malattie croniche è legata a una serie di fattori – modificabili e non- e ad alcuni determinanti impliciti, come l’urbanizzazione, la quale può essere in parte ritenuta responsabile della diffusione di alcuni stili di vita a rischio per la salute e, per questo motivo, considerata come una “causa delle cause” delle malattie croniche. Pertanto, per riuscire a contrastare l’epidemia della cronicità è necessario agire su più fronti, attraverso il coinvolgimento di diversi stakeholder perché, come sottolinea anche il recente Piano Nazionale della Cronicità,

la sfida alla cronicità è una “sfida di sistema”

che deve oltrepassare i limiti delle diverse istituzioni e dei confini tra servizi sanitari e sociali, promuovendo l’integrazione tra diverse professionalità e ponendo al centro del sistema il cittadino. Solo un’azione sinergica e multicomponente, infatti, può raggiungere la popolazione attraverso un approccio community-based per sensibilizzare i cittadini sulle proprie scelte di salute e sulle conseguenze che ne derivano.