A cura di Vito Costa

Roma è l’urbe.
L’urbe è Roma.
Capitale di tutte le urbes, idea stessa di città.
Capitale per definizione e per vocazione.
Città che si è fatta impero e che da impero è tornata città.
Sotto i colpi di quella grandezza diventata debolezza.  

Una grandezza troppo grande per essere affidata al potere anziché all’amministrazione, alla scontatezza anziché alla cura, alla vanità anziché allo scrupolo.
Guardare alla Roma di ieri avendo bene in testa quella di oggi permette di scorgere un lunghissimo filo rosso che ne caratterizza la storia, tracciandone un’identità dai caratteri incredibilmente resistenti allo scorrere dei secoli.

 

“Roma città eterna”, del resto. Come la definì per primo l’Imperatore Adriano, colui che la guidò quando quella grandezza raggiunse l’apice. Sia nel senso quantitativo – come massima espansione territoriale – sia nel senso qualitativo – come massima maturità di governo. Adriano, infatti, ebbe in mano la più grande Roma di sempre e la amministrò con una sapienza, con un’intelligenza e con un equilibrio che – forse – non hanno mai avuto pari nella storia dell’Urbe, quantomeno in quella imperiale. La Roma di Adriano poteva davvero rimanere eterna, non fosse altro che l’Imperatore, invece, in eterno non poteva restare. Rinnovò il volto della città restaurandone alcuni suoi elementi chiave (come il Pantheon) e costruendone di nuovi (la Mole Adriana, oggi Castel S. Angelo). Ma curò anche il resto dell’impero, fortificandolo di bellezze da Atene a Palmira, fino alla Scozia. Un modo efficace per mantenere buone relazioni con tutte le componenti territoriali dell’impero, garantendo così pure l’equilibrio e la sopravvivenza dell’Urbe.

Era anche così che Adriano costruiva l’eternità di Roma, prendendosi cura della salute fisica e “mentale” della città. “Altre Rome verranno e io non so immaginare il volto – scriveva -, ma avrò contribuito a formarlo”. E così è stato, nel volto e nell’identità. Un’identità ancora oggi permeata da quella grandezza che fu, una grandezza, però, che a forza di esser data per scontata ha finito per essere trascurata.

A forza di essere meramente simbolo di potere ha finito per non essere più governata. A forza di essere “Grande Bellezza” ha finito per dare di sé un’immagine di abbandono. Eccolo il filo rosso che torna, attraversa i secoli e segna i cicli della storia.

Lo stato di salute della nostra Capitale torna a toccare i suoi punti più bassi, impantanata nei rifiuti e nel dissesto urbano, immobilizzata nel traffico e nella disorganizzazione.

Un biglietto da visita poco decoroso per l’Italia e un ambiente sempre meno salubre per i suoi cittadini. Cittadini il cui numero è tornato a crescere negli ultimi 15 anni in maniera costante e significativa, facendo segnare una nuova fase di urbanizzazione estesa. E non solo, perché i romani sono cresciuti anche anagraficamente. Secondo un trend comune a tutta la Penisola, infatti, l’indice di vecchiaia della popolazione capitolina è passato da 35,1 nel 1971 a 141,2 nel 2011. Un dato impressionante quello fornito dalla ricerca ATLAS dello scorso aprile, che dettaglia anche la percentuale di ultra-settantacinquenni: dal 2,9% del 1971 al 9,7% del 2011. Questo per ciò che riguarda l’area metropolitana romana, mentre, se ci si ferma al Comune capoluogo, il dato sale al 10,7%, con un indice di vecchiaia che nel 2016 ha raggiunto quota 162.

Una popolazione più anziana ha un’esigenza precisa: è una popolazione più bisognosa di cure e di attenzione costanti, perché porta con sé, o sviluppa via via, patologie spesso croniche. Ma una popolazione più anziana, e in senso assoluto complessivamente più numerosa, necessita di una città più efficiente, per tutte le fasce d’età, così da creare un circolo virtuoso che porti – in proporzione – più vantaggio dove più c’è bisogno.

Roma, oggi, è una città sofferente, è una città faticosa e affaticata, che non trova in se stessa le condizioni per prendersi cura di sè.  

Condizioni che l’Urbe ha necessità di creare, condizioni che tutte le urbes devono mettere a disposizione dei propri cittadini.

L’aria è il punto di partenza. Una scarsa qualità dell’aria genera patologie come asma e BPCO, malattie croniche, non completamente reversibili, che per definizione rappresentano costi più elevati per chi ne è colpito e per il sistema nel suo complesso.

A Roma la situazione migliora di anno in anno. Dal 2008 al 2014, stando sempre ai dati ATLAS, il numero di giorni in cui è stato superato il livello di PM10 consentito si è praticamente dimezzato. Qualità dell’aria fa rima con aree verdi, ed è qui che Roma è carente. Ogni cittadino capitolino ha a disposizione per sé 16,5 mq di verde urbano, circa la metà rispetto alla media nazionale, inferiore – seppur di poco – anche alla “grigia” Milano. Può essere dunque questo l’elemento da migliorare per ottenere un beneficio ulteriore sulla qualità dell’aria romana. Più verde significa più parchi e più parchi rappresentano la condizione per ottenere meno macchine e meno traffico. Per soddisfare questa condizione, tuttavia, contestualmente ai parchi vanno introdotte le piste ciclabili, che a loro volta, oltre alla qualità dell’aria, creano le condizioni per una popolazione meno sedentaria.

E meno sedentarietà significa più salute.

Nel Lazio, secondo dati ISTAT, il 40% della popolazione è totalmente sedentario, mentre solo il 20% svolge regolarmente attività fisica. Attività fisica che non è necessariamente sinonimo di palestra. Può bastare potersi muovere in bicicletta. A Roma, per esempio, il 32,7% dei cittadini si sposta di non oltre 15 minuti da casa per raggiungere il luogo di lavoro e di studio. Il 22,7% lo fa entro i 15 minuti solo per motivi di lavoro. Un quarto d’ora è un lasso di tempo, e di spazio, più che adeguato per essere trascorso in bicicletta. Ma anche mezz’ora lo è: il 33,1% dei romani si sposta per studio e lavoro entro un massimo di mezz’ora da casa; il 33,7% solo per lavoro.

E’ evidente, dunque, da questi dati, come l’elevata sedentarietà abbia ampi margini per essere combattuta. E combattere la sedentarietà può voler dire combattere il diabete, dal momento che, insieme all’invecchiamento della popolazione, sono proprio la vita sedentaria e l’obesità le maggiori cause d’insorgenza di questa patologia. Una malattia che a Roma colpisce circa 190 mila persone, mentre nell’area metropolitana della Capitale sono oltre 286 mila.

Nel Lazio, la prevalenza del diabete – secondo l’ISTAT – è del 6,6%, a fronte di una media nazionale ferma al 5,4%.

I margini per combattere il diabete, va dunque ripetuto, ci sono. Ma per farlo occorre creare le condizioni nelle città. Ed è qui che Roma torna a essere Capitale, sia pure per l’evidente necessità palesata dai dati ISTAT. La “Città Eterna”, nel corso del 2017, è stata la seconda città europea, dopo Copenaghen, a entrare a far parte del programma internazionale “Cities Changing Diabetes”. Un progetto innovativo che vede nell’organizzazione delle città la prima vera arma per la lotta al diabete. A livello globale, infatti, circa il 65% delle persone affette da questa patologia vive nelle città. E l’International Diabetes Federation stima che nel 2040 questo dato arriverà al 74%.

Da qui l’urgenza di agire subito, intervenendo sui fattori di rischio a partire dalla pianificazione dei centri urbani. Perché è l’organizzazione delle città il primo strumento di salute a disposizione delle persone.

L’ingresso di Roma in questo progetto, che vede accanto Istituto Superiore di Sanità, ANCI, ISTAT e CENSIS, è un segnale – innanzitutto – di grande consapevolezza e di volontà di cambiare marcia.

Proprio in un momento così critico per l’Urbe e per la sua identità. Roma che ripensa se stessa per offrire a chi la vive un luogo migliore, un luogo in cui ammalarsi meno o trovare rimedio e sollievo ai propri problemi di salute.

E’ una sfida che riguarda il diabete, ma è una sfida che può e deve riguardare la salute più in generale. Area respiratoria e cardiovascolare innanzitutto, perché sono quelle più facilmente correlabili al diabete. L’obiettivo può e deve essere quello di ripianificare le città avendo come primo criterio di rilevanza la salute pubblica. Pare scontato, ma evidentemente così scontato non è e non è stato. Roma può farsi leader di un progetto più ampio di “Cities Changing Diabetes”, trovando in questo momento di profonda crisi l’opportunità di rifiorire, di tornare ad essere un modello, di tornare a farsi imitare e invidiare. Di diventare la “Roma caput mundi” contemporanea.

Pensaci, Roma.
Si tratta di rinascere ancora una volta.