Abitudini alimentari: i cinque profili tipici che emergono dal Test della Piramide

Maschi più voraci, donne più attente, buona attenzione allo sport: ma rimangono importanti aree carenziali

A cura di Mario Pappagallo

Dimmi come mangi e ti dirò chi sei”. Antichi proverbi, realtà moderne delineate dall’analisi sociologica dei comportamenti alimentari raccolti nei Test della Piramide di Curare la Salute e presentato da Ketty Vaccaro, responsabile area salute dell’istituto di ricerca Censis. Sì perché l’analisi è firmata Censis.

La ricercatrice, elaborando i dati raccolti dal Test della Piramide (quasi 30 mila dati, un campione riponderato e ritenuto statisticamente attendibile) presente sulla rivista

www.curarelasalute.com, ha potuto identificare cinque gruppi omogenei connotati da determinate abitudini alimentari.

Le quarantenni sempre a dieta (proteica) 31,6%

Le donne sono tradizionalmente più attente alla salute, trovandosi spesso nella responsabilità naturale di prendersi cura di sé e del resto della famiglia.

Viene individuata peraltro questa peculiare categoria di donne, diversa dalla tradizionale categoria delle casalinghe; all’opposto si tratta di donne lavoratrici, spesso in carriera, orientativamente quarantenni. Mostrano una specifica attenzione alla propria salute, maggiormente indirizzata alla salute del corpo: fanno attività fisica (di solito palestra), amano il cibo e gli alcolici, fanno uso prevalente di proteine, ma sono carenti in molti altri cibi, soprattutto nei cereali. 

Le salutiste 22.5%

La fascia di età di questo profilo è più elevata. Si tratta prevalentemente di donne, di educazione culturale medio-elevata, in età perimenopausale. Sono molto impegnate nella protezione della salute: fanno attività fisica, mangiano pesce e carni bianche, legumi, pochi cereali, frutta, ma poca verdura (anche se sono convinte di consumarne molta). Si concedono qualche dolce.

Le sobrie 13.8%

Le donne più anziane di questo profilo sono in buona parte laureate e hanno una concezione molto elitaria della propria salute. Fanno attività fisica, mangiano prevalentemente cereali e legumi, pochissima carne, uova, latte e derivati. Consumano frutta e verdura, ma meno di quanto ritengono di assumere.

I maschi onnivori 14%

Questo profilo accomuna prevalentemente maschi dai 30 anni in su, con titolo di studio medio. Sono di solito caratterizzati da attività volutamente salutistiche: fanno attività fisica anche sostenuta, consumano frutta e verdura, ma si concedono gratificazioni alimentari anche ampie: bevono più di un bicchiere di vino al giorno, mangiano pasta e pane anche in porzioni abbondanti, nonché carni di tutti i tipi, occasionalmente pesce, latticini e uova. 

I giovani voraci 18.1%

Maschio e giovane uguale vorace; questo profilo risulta abbastanza ben caratterizzato: è composto prevalentemente da maschi, di età al di sotto di 30 anni, fanno attività fisica e mangiano di tutto (ma raramente il pesce) in porzioni abbondanti. Indulgono facilmente, per non dire eccedono, negli alcolici e nei dolci.

Quindi, maschi più voraci, donne più attente, buona attenzione allo sport: ma rimangono importanti aree carenziali. Complessivamente si desume che il consumatore ideale, in fatto di corretta alimentazione, probabilmente non esiste. Anche nei migliori profili, dove risulta una adeguata attenzione al consumo di frutta e verdura, all’attività fisica, rimangono aree carenziali che andrebbero corrette allo scopo di garantire una adeguata protezione della salute.

Inoltre emerge che, anche se il nostro paese è considerato la culla della Dieta Mediterranea, va sempre considerato il rischio di sviluppare carenze alimentari di una certa rilevanza, soprattutto in periodi di maggiore necessità nutrizionale dovuta a stress, impegni lavorativi e di studio, età particolari, come l’infanzia, la gravidanza, la maturità e la terza età.

Va segnalato peraltro un aspetto preoccupante: il consumatore spesso ha una errata percezione dei propri consumi alimentari, in termini di qualità e quantità.

L’analisi del Censis ha infatti evidenziato una discrepanza fra i consumi dichiarati e il giudizio individuale sulle proprie abitudini nutrizionali: un problema in più da risolvere per i professionisti della salute, impegnati a offrire strumenti di rieducazione alimentare per ricondurre la popolazione a consumi più sani.

Il quadro emerso dall’analisi è abbastanza sorprendente e ci racconta di una popolazione, quella italiana, in cui risulta la crescente tendenza a consumare poca frutta, verdura e pesce, pochi legumi, addirittura poca pasta. Soltanto l’olio – un alimento elettivamente tipico del mediterraneo – mantiene stabilmente il suo consumo.

«È un segno del paradosso alimentare di questi tempi», dice Michele Carruba, direttore del centro studi e ricerche sull’obesità dell’Università di Milano.

«L’abbondanza dei cibi oltre al cambiamento dello stile di vita e abitudini alimentari hanno portato a un impoverimento nella qualità dei consumi – spiega – e all’abbandono di quegli alimenti più semplici ma nutrizionalmente più nobili che appartengono da sempre alla nostra cultura mediterranea».

Più colpite da questo paradosso alimentare sono le popolazioni esposte a rischi carenziali: bambini, donne in gravidanza, anziani, ma anche tutte le persone impegnate in attività fisiche e psichiche stressanti.

Bambino e nutrizione: troppo sale, bevande zuccherate e alimenti ad alta densità energetica, farinacei e poco pesce 

Determinante l’alimentazione della mamma durante la gravidanza e l’allattamento: più graditi al piccolo i cibi consumati dalla mamma durante questi due periodi

Il pesce, per esempio, è quasi sconosciuto nell’alimentazione del bambino, quando «dovrebbe essere parte abituale, almeno due volte a settimana, anche prima dei tre anni di vita», come raccomanda Marcello Giovannini, professore emerito di pediatria, ritenuto uno dei più accreditati esperti di nutrizione pediatrica. Anche in questa delicata fascia di età i consumi alimentari risentono del paradosso dell’eccesso: l’abbondanza di offerta di cibi si accompagna spesso a errori e incongruenze che forse gratificano subito il bambino, ma lo espongono al rischio di disturbi o malattie in età adulta.

«Il primo errore è quello di considerare il bambino un adulto di dimensioni più piccole», ammonisce Giovannini. «Almeno fino ai tre anni il bambino ha un sistema di digestione e metabolismo degli alimenti del tutto particolare, che va rispettato diligentemente: è quindi sbagliato in questo periodo iniziale della vita dare ai piccoli pane e farinacei, aggiungere sale nelle pietanze o zucchero nella frutta e nelle bevande».

Spesso i genitori si lamentano che i bambini non apprezzano il gusto di alcuni alimenti, e tendono quindi a rifiutare cibi salutari, come la frutta, la verdura, il pesce. «L’abitudine al gusto – ricorda il professore emerito – si acquisisce fino dalla gestazione: l’abitudine della madre a consumare pesce durante la gravidanza condiziona l’abitudine del bambino quando è ancora feto; lo stesso vale durante l’allattamento: i sapori di alcuni cibi passano nel latte materno e inducono nel lattante una familiarità che si può mantenere in seguito».

Molto importante per la corretta alimentazione del bambino è il consumo regolare di pesce, che deve iniziare con le apposite pappe già prima della dentizione. In seguito si può proporre il pesce a piccoli pezzi da masticare, preferendo il pesce azzurro nostrano, o anche il pesce surgelato: molti di questi prodotti mantengono inalterate le proprietà nutrizionali, in particolare gli acidi grassi polinsaturi come gli omega 3 e l’acido docosaesaenoico (DHA), preziosi per la formazione e il corretto funzionamento di numerosi organi ed apparati (membrane cellulari, cervello, retina), nonché per la prevenzione – che inizia fino dai primi anni di vita – dell’aterosclerosi e delle malattie cardiovascolari.

«In termini generali – precisa Giovannini – il pesce proveniente dalle zone subantartiche è migliore dal punto di vista dell’assenza di contaminanti».

Il consiglio nutrizionale prioritario rimane comunque quello di favorire l’allattamento naturale al seno.

Il latte materno contiene nutrienti insostituibili per il bambino e finalizzati alla crescita, allo sviluppo funzionale e immunitario e lo induce anche ad abitudini alimentari più sane.

«Per esempio insegna al bambino l’autoregolazione, nel senso che il piccolo assume solo quanto necessario, evitando sovraccarichi per avidità: infatti si stacca dalla mammella quando è sazio, talvolta indisponendo la mamma, che avrebbe ancora altro latte da offrire; ma il bambino è tendenzialmente più saggio, e dovrà essere collocato, alla poppata successiva, sulla stessa mammella per riprendere il suo pasto interrotto».

«Tale attitudine all’autoregolazione è destinata a rimanere per molto tempo, soprattutto se l’educazione alimentare rimane accorta».

«Fondamentale – conclude Giovannini – è comunque il ruolo del pediatra di fiducia nella corretta educazione nutrizionale. Il suo ruolo attivo nella promozione di una sana alimentazione può condizionare le scelte nutrizionali del bambino e di tutta la famiglia. Ciò vale in particolare in un’epoca suggestionata da mode alimentari incongrue che favoriscono sindromi di obesità-anoressia, riducendo la dieta a un’abitudine monotematica e talvolta povera di alimenti ricchi di micronutrienti, lasciandosi andare a proiezioni psicologiche e di attesa verso il proprio modello di fisico ideale».

Alimentazione, acido folico e Vitamina D: quando il cibo non basta

Acido folico fondamentale per la prevenzione delle malformazioni fetali in gravidanza e vitamina D essenziale per limitare l’osteoporosi delle ossa nella donna in menopausa 

E veniamo ad un’altra fascia delicata, quella della donna in gravidanza, che, come sostiene Fabio Parazzini, ginecologo della prima Clinica ostetrica dell’Università di Milano, «durante la gestazione non dovrebbe abbandonare legumi, pasta e cereali, assumere adeguate quantità di acqua e integrare la dieta con acido folico, vitamine e minerali». E non solo durante la gestazione. La sterilità oggi molta diffusa può avere origine da una cattiva abitudine alimentare. Conferma Parazzini: «Il deficit di acido folico è ritenuto uno dei possibili responsabili della ridotta fertilità femminile. È nota da tempo l’importanza dell’acido folico nella prevenzione delle malformazioni fetali per cui è cruciale che in gravidanza la donna assuma adeguate quantità di questa vitamina. Ma a questo si aggiunge oggi l’osservazione che l’acido folico risulta deficitario in molti casi di infertilità, condizione che può essere corretta ricorrendo all’integrazione alimentare».

La carenza di acido folico riguarda molte donne e non è sempre risolvibile da una semplice diligenza alimentare. Il suo fabbisogno in gravidanza aumenta notevolmente, e non sempre è garantito dalle porzioni normalmente raccomandare di frutta e verdura, necessitando quindi di opportune integrazioni.

Per il resto la donna in gravidanza ha bisogno di un’alimentazione equilibrata, completa di tutti i nutrienti, vitamine, minerali e ridotte quantità di grassi.

Analoghe importanti carenze nutrizionali condizionano anche il periodo della menopausa: «In particolare – fa presente Parazzini – il calcio e soprattutto la vitamina D, la cui presenza in una alimentazione normale, anche correttamente seguita, è spesso deficitaria».

Questa vitamina infatti abbonda nell’olio di fegato di merluzzo, un alimento di fatto assente sulle nostre tavole. In misura minore si ritrova nel salmone e nell’aringa, e in quantità ancora minori nel fegato, nel latte, nelle uova e in alcuni formaggi grassi.

Di fatto la carenza di vitamina D è un problema diffuso in tutta la popolazione, anche per la ridotta esposizione al sole, determinante per la conversione da vitamina D inattiva alla forma attiva, che interviene nei processi di mineralizzazione delle ossa. Questa carenza è di particolare importanza nella seconda metà della vita per la prevenzione dell’osteoporosi. La carenza di vitamina D sarebbe inoltre legata a malattie cardiovascolari, disturbi dell’umore e alterazioni immunologiche. Parazzini ricorda infine l’utilità di consumare cibi ricchi di sostanze con proprietà estrogeno-simili nel periodo della menopausa, allo scopo di ridurre i disturbi tipici di questo periodo, in particolare le vampate di calore. «A parte la soia, che contiene fitoestrogeni naturali, i cibi contenenti resveratrolo hanno spesso un’azione favorevole sui disturbi della menopausa».

Il resveratrolo è una sostanza prodotta da molti vegetali, ed è dotata di proprietà antiossidanti, antinfiammatorie, di protezione vascolare, nonché di tipo ormonale, quindi con effetti favorevoli sui disturbi perimenopausali. Si ritrova in alcuni vini rossi, nei frutti di bosco, nelle nocciole. Nelle giovani donne, invece, meglio conoscere il proprio assetto ormonale: la produzione di estrogeni da parte dell’organismo va ben considerato rispetto a un’alimentazione ricca di fitoestrogeni. Nel caso, meglio il resveratrolo della soia.

Conclusioni. Un impegno, quello di divulgare i sani principi dell’alimentazione Mediterranea, a cui sono chiamati a rispondere tutti gli operatori della salute, in particolare il medico di medicina generale e il farmacista rivestono ruoli fondamentali nell’educazione alla salute e nella cura del cittadino.

Nuove tendenze e suggestioni alimentari, tempi limitati, una maggiore propensione per il pasto veloce in piedi al posto della tradizionale tavola casalinga sono alcuni dei motivi di questa deriva nutrizionale degli italiani, pur in un periodo di maggiore sensibilità per la salute e il benessere in generale. Deriva che innesca poi malattie cardiovascolari, metaboliche, infiammatorie che andrebbero evitate per dare più vita agli anni.