A cura di Alessio Pappagallo

Dopo i ripetuti attacchi terroristici organizzati da esponenti dello Stato Islamico secondo l’ormai noto schema dell’autocarro gettato a tutta velocità sulla folla, i Sindaci europei si sono mobilitati per installare, nei pressi di vie e piazze, barriere anti camion di diversa natura.

Ma se la lotta al terrorismo rappresentasse un’occasione per garantire una maggiore salute dei cittadini e un abbellimento urbano? È quanto proposto dall’architetto Stefano Boeri, ideatore dell’ormai famigerato Bosco Verticale di Milano, che ha invitato a rispondere al terrorismo «anche con un uso accurato della bellezza naturale e del suo valore simbolico».


In altre parole, con fioriere e piante al posto delle antiestetiche e meno salutari barriere di cemento. L’invito è già stato accolto da Bari, dove il Sindaco Antonio Decaro ha deciso di coinvolgere i giovani dell’Accademia di Belle arti del capoluogo pugliese «per colorare le grandi fioriere, trasformandole nella migliore risposta all’estremismo», ma anche da Palermo e Firenze.

I primi cittadini Leoluca Orlando e Dario Nardella, infatti, intendono utilizzare gli alberi contro la minaccia terroristica. A Firenze sono già stati installati i primi vasi, pesanti quasi una tonnellata, con all’interno degli alberelli.

Le piante antiterrorismo, quindi, conquistano i sindaci d’Italia.

Collocate agli ingressi di ogni piazza o spazio pubblico urbano, i vasi di diversa dimensione con un grande albero all’interno sono in grado di proteggere il passaggio dei pedoni e ridurre il rischio di omicidi di massa. In questo modo, ha commentato sempre Boeri in un articolo pubblicato su “Repubblica.it” «con un piccolo investimento, distribuendo accuratamente le piante negli spazi più vitali e aperti delle nostre città, possiamo temporaneamente trasformare i nostri luoghi più cari in radure e boschi. Ben sapendo che un albero, diversamente da un New Jersey (barriera di sicurezza modulare di calcestruzzo o plastica, utilizzata per incanalare il flusso stradale o per delimitare provvisoriamente un’area ndr),

non solo ci protegge, ma ci fa ombra, assorbe con le foglie i veleni dell’aria urbana, ospita la vita degli insetti e degli uccelli. In una parola, accoglie e protegge quella vita che i terroristi vogliono annientare».

Piante antiterrore e morte, quindi, oltre che naturalmente anti smog. È ormai dimostrato, infatti, che non solo assorbono l’anidride carbonica in cambio di ossigeno, ma sono in grado di tenere a bada i livelli di inquinamento, immobilizzando metalli pesanti e polveri sottili. Oltre a proteggere da un altro tipo di inquinamento, altrettanto pericoloso, quello acustico. Recenti ricerche condotte dall’Ibimet, Istituto di biometeorologia del Cnr di Bologna, hanno dimostrato che alcune specie sono ancora più forti di altre nel tenere sotto determinati livelli limite, lo smog cittadino. Le migliori sono quelle mediterranee, come il frassino maggiore, l’orniello, il biancospino, l’acero campestre, l’acero platanoide, l’acero di monte (Acer pseudoplatanus), il bagolaro, l’albero di giuda (Cercis siliquastrum), il gelso, l’ontano nero, il carpino bianco, il tiglio e l’olmo. Ma sarebbe il bagolaro (Celtis australis) ad avere le migliori capacità di immobilizzare le polveri sottili.

I migliori nell’assorbire CO2 sono il tiglio selvatico (Tilia cordata), il biancospino (Crataegus monogyna) e il frassino (Fraxinus ornus).

Ma c’è di più, secondo uno studio scientifico pubblicato di recente sulla rivista inglese Atmospheric

Environment e condotto da un’equipe dell’Università del Surrey, in città sarebbe meglio piantare siepi piuttosto che alberi. Una tipologia di pianta ancora più adatta per le fioriere antiterrorismo.

La più correttamente detta pianta da siepe sempreverde, infatti, avrebbe la capacità di assorbire gli inquinanti atmosferici prodotti dal traffico dei veicoli in maniera più efficace. A fare la differenza è l’apparato fogliare degli arbusti che parte dal suolo e si sviluppa su una superficie verticale e, a seconda delle specie, può raggiungere anche parecchi metri d’altezza. La forma, la disposizione delle foglie e la vicinanza alle fonti di produzione di gas e particolato, costituiscono la forza d’urto delle barriere verdi, spesso assenti, trascurate o poco sfruttate nelle nostre città, e garantiscono una significativa riduzione dell’esposizione diretta di pedoni e ciclisti alle polveri sottili e all’anidride carbonica.

In linea di massima, cinquemila piante in un anno assorbono 228 chili di PM10: pari alle emissioni di oltre mille macchine che percorrono 20 mila chilometri in 12 mesi. Le piantagioni antismog risultano particolarmente efficaci perché, oltre alla riduzione diretta dell’anidride carbonica, sono in grado di migliorare il microclima e ridurre l’uso dei combustibili fossili di circa 18 chili all’anno per ciascun albero.

Ne è ben consapevole Mantova, che grazie all’avvio dell’Advanced Institute of Plant and Buil Environment, Centro di Ricerca sulle Piante – compreso nel più ampio progetto Mantova Hub di riqualificazione della periferia est della città – in fase di realizzazione, si è aggiudicata il ruolo di città ospite del primo forum mondiale sulle foreste urbane. Lo ha confermato recentemente la Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO) fissando l’appuntamento dal titolo “Cambiare la natura delle città: il ruolo delle foreste urbane per un futuro più felice, sano e verde” per novembre 2018.