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È il refrain finale di una canzone del 1966, oltre mezzo secolo fa, “Il ragazzo della via Gluck”, di Adriano Celentano, oggi
81enne ma 28enne nel 1966. I coetanei di Greta Thunberg, la sedicenne ambientalista svedese, probabilmente non
hanno mai sentito questa canzone. Il tema del ragazzo della via Gluck era, in sintesi, riappropriarsi degli spazi verdi,
combattendo la cementificazione. Celentano è diventato famoso, ma quel tema è rimasto lì, sospeso per altri decenni.
Applauditissimo ma non condiviso, soprattutto dai politici. Solo dagli inizi di questo millennio è realmente cominciato
un cambiamento, in particolare da parte dei sindaci, non solo italiani, politici vicini ai cittadini e tutori (in alcuni Paesi
ufficialmente, in altri ancora no) della loro salute, a partire dal promuovere e progettare un ambiente promotore di
salute perché in una città “malata” ci si ammala di più. Da una recente indagine psicologica condotta su bambini di
aree urbane, infatti, sembrerebbe che circa il 10% di quelli compresi tra gli 11 e i 14 anni manifesti problemi psicologici
e disagi emozionali. Neanche nei paesini e in campagna le cose sono molto diverse. La tv, i supermarket, Internet, le
autostrade hanno omologato tutto. Forse però un giro in bicicletta si può fare senza pericoli, un anziano contadino può
raccontare il suo lavoro, altri animali (e non solo cani e gatti) possono fare compagnia.
Oggi c’è di certo maggiore consapevolezza e cresce la massa di chi pretende una rivoluzione ambientale. Il tema di Greta
non sembra cadere nel vuoto come la via Gluck di Celentano. Il cosiddetto effetto Greta non dipende solo dalla
determinata sedicenne svedese, ma da una diffusa consapevolezza che “se si va avanti così ci si fa del male”. Al pianeta
già lo stiamo facendo da tempo, e ora ne sono visibili anche gli effetti, a noi anche lo stiamo facendo, se si analizzano i
numeri in continuo aumento di varie malattie croniche tra cui includere l’obesità e la depressione,

Consapevolezza popolare che emerge anche dalle indagini sui consumatori. Sempre predittive socialmente. Dal rapporto
Coop 2019 (di cui in questo numero sarà riportato un ampio stralcio) emerge, per esempio, una fotografia degli italiani
che dopo anni di positività in bianco e nero oggi diventa a colori. Negativamente a colori. Ma a colori, con il rosso dei
bilanci domestici e il verde della consapevolezza che occorre urgentemente fare qualcosa per l’emergenza ambientale,
la nostra salute, l’inquinamento, il clima, l’intero pianeta. Insomma, l’effetto Greta che prende piede anche in chi critica
duramente la sedicenne svedese. Altro studio, quello della Coldiretti/Ixè e "svolta green" degli italiani più che confermata.
Il 90% degli italiani è d'accordo sul fatto che ognuno di noi possa fare molto per proteggere l'ambiente ma il Paese si
divide a metà (51%) sul sostegno della giovane attivista svedese Greta Thunberg e delle sue battaglie per l'ambiente.
Più di un italiano su due. Il 44% degli italiani si impegna nella lotta al cambiamento climatico anche riducendo gli acquisti
di prodotti con imballaggi di plastica, eccessivi, usa e getta. Se poi si guarda alle scelte che ognuno è disposto a fare per
tutelare l'ambiente esiste una schiacciante maggioranza del 72% che sarebbe disposta a ridurre gli spostamenti in auto,
scooter e motocicletta mentre più di 6 su 10 (64%) potrebbero rinunciare all'aria condizionata, mentre sul fronte della
gestione dei territori per il 52% ritiene urgente potenziare la raccolta differenziata che sarebbe la scelta preferita da 8
italiani su 10 (80%) rispetto alla presenza di un termovalorizzatore. Per migliorare la situazione ambientale il 59% degli
italiani ritiene che siano necessari interventi radicali e urgentissimi sullo stile di vita.
Consapevolezza anche della correlazione tra il benessere di una comunità e un ecosistema equilibrato. Con una sempre
maggiore attenzione nei confronti delle criticità che l’urbanizzazione, a volte selvaggia, ha messo in luce. E torniamo
così a questi 53 anni che ci dividono da “Il ragazzo della via Gluck”. Sembrano passati inutilmente per buona parte del
timer. Tant’è che a settembre 2019 in un convegno di architetti annoto questo intervento: “Il Royal Institut of British
Architects (RIBA) ha pubblicato lo studio City Health Check: How design can save lives and money. Attraverso la
comparazione dei tassi di attività fisica, obesità infantile e diabete delle nove maggiori città inglesi, il RIBA ha individuato
una chiara correlazione tra la quantità di spazi pubblici e verdi, la densità residenziale nelle aree urbane e la condizione
di salute generale della popolazione. Poiché la salvaguardia della salute in Inghilterra è diventata una competenza delle
amministrazioni locali, nel rapporto sono indicate alcune misure che incentivano l’esercizio fisico invogliando le persone
a spostarsi a piedi o ad utilizzare la bicicletta. Si tratta della realizzazione o adattamento di percorsi ciclopedonali
sufficientemente sicuri da essere utilizzati con frequenza per i piccoli spostamenti che normalmente le persone fanno
con l’auto, ma anche di piani di azione locale che valutino l’impatto sulla salute della forma urbana e delle sue
trasformazioni e che indirizzino le scelte delle amministrazioni verso soluzioni urbanistiche ed edilizie meno dipendenti
dall’uso dell’auto. Anche la fiscalità locale dovrebbe essere coinvolta nella pianificazione e realizzazione di interventi a
favore della ciclopedonalità diffusa, perché, cifre alla mano, spendere soldi pubblici in questo settore significa un
considerevole risparmio per il servizio sanitario nazionale, oltre alla salvaguardia della vita di coloro che la rischiano a
causa di uno stile di vita troppo sedentario”.
Come si può notare gli architetti parlano di salute e propongono soluzioni politiche. Gli effetti concreti di una Rete,
multispecialistica, finalmente operativa e che vede gli italiani in prima linea. Noi, popolo di individualisti, in questo
campo siamo diventati esempio di lavoro e di ideazione di Rete. Con i sindaci pronti a cogliere indirizzi e consigli, metterli
in pratica e divulgarli non solo in Italia. Un esempio riguarda l’obesità. Che sia malattia più diffusa nei ghetti urbani
delle grandi città, rispetto ai quartieri residenziali delle classi medio alte, ha ormai una consolidata evidenza statistica.
Come testimoniano i numerosi programmi di avvicinamento e sensibilizzazione verso stili di vita più sani (soprattutto
nelle aree più socialmente ed economicamente svantaggiate) messi in atto soprattutto nelle metropoli americane. Anche
perché diventa sempre più complicato far fronte ai costi generati dalla diffusione di patologie come l’obesità, il diabete
(i due terzi dei 500 milioni di diabetici di tipo II nel mondo vivono in grandi realtà urbane, anzi più grandi sono le città
più alto è il loro numero), l’ipertensione e le malattie cardiovascolari. L’Italia si sta muovendo a 360 gradi in fatto di
competenze in campo, e di politici attenti. Vaste sono ormai le conoscenze sulle ricadute anche socio-economiche
dell’obesità e delle malattie croniche, ora si deve definire quale tipo di città possa prevenirne la diffusione. Rimboccarsi
le maniche e nel 2050 consegnare un pianeta meno a rischio, o più sano, alla ormai 47enne Greta e ai suoi coetanei.
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