Il Climate Change e gli impatti sulla salute nelle città

Scheda a cura del Ministero della Salute

Lo sviluppo di città sane rappresenta un fattore cruciale nello sviluppo sostenibile e nel contrasto della povertà, alla marginalizzazione, alle disuguaglianze sociali. Le aree metropolitane nel mondo raccolgono circa il 55% della popolazione globale, con trend in netta crescita, soprattutto nelle aree costiere del mondo in via di sviluppo, le maggiormente popolate, con popolazione superiore ai 10 milioni di persone. 

Molte delle metropoli con la maggiore concentrazione di abitanti si trovano in aree costiere o fluviali, quindi soggette a impatto climatico ad alto rischio. L’impatto di tali macro-fattori sulla salute è visibile soprattutto in ambito urbano, dove si concentrano in aree ristrette e determinate, a rischio di dissesto ambientale e sociale, ampi segmenti di popolazione in un complesso rapporto con l’ambiente e le infrastrutture, che li rende dipendenti dall’afflusso continuo di risorse dalle zone produttive e dalle aree di concentrazione delle risorse primarie (cibo e acqua).

La sopravvivenza in salute degli abitanti delle città dipende dallo sviluppo di servizi

e reti sostenibili e resilienti per quanto riguarda varie dimensioni del vivere civile: la distribuzione e la conservazione idrica e alimentare, la viabilità, l’abitabilità, lo smaltimento dei rifiuti domestici e industriali, soprattutto per fasce fragili e vulnerabili (come gli anziani ad altissima concentrazione urbana), l’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico.

Mentre la programmazione sanitaria si concretizza generalmente a livello di iniziative legislative centrali o, al massimo, subnazionali, dove la sfida è rappresentata dal proporre e mantenere la salute in tutte le politiche, sono le amministrazioni comunali a dover definire azioni e interventi pratici e concreti che garantiscano l’effettiva distribuzione delle risorse in senso egualitario, promuovendo la partecipazione attiva dei cittadini al dialogo sociale, economico, ambientale e distributivo, che deve garantire una copertura globale di servizi e assistenza, anche attraverso l’alfabetizzazione sanitaria e la cultura della salute.

Con le infrastrutture informatiche e la disponibilità di capacità analitiche dei big data è possibile sviluppare una conoscenza del territorio, della sua composizione e concentrazione antropica, che permette di derivare le evidenze indispensabili per guidare le decisioni delle amministrazioni locali in senso inclusivo, con la formulazione di programmi mirati al riequilibrio delle disuguaglianze (il cui peso economico viene stimato nel 20% dei costi urbani legati alla prevalenza e all’incidenza di patologie prevenibili).

È importante considerare i diversi determinanti sociali della salute ed estendere gli interventi a tutto ciò che rappresenta il gradiente delle disuguaglianze, con un approccio “life course”, prestando particolare attenzione alle età infantili, data la crescente evidenza di impatto epigenetico dei fattori climatici-ambientali urbani, ad esempio sulla prevalenza di obesità e diabete giovanili (percorso ripreso nel programma italiano dei primi 1000 giorni).

Il cambiamento di frequenza degli eventi estremi come ondate di calore, precipitazioni eccezionali e siccità ha effetti diretti sulla salute di esseri umani e animali determinando:

  • per la fine del 21° secolo il cambiamento della temperatura di superficie probabilmente sarà causa di un aumento di 1,5°C in più rispetto al 1850;
  • tra il 2000 e il 2016 il numero di persone vulnerabili esposte alla ondate di calore è aumentato di circa 125 milioni;
  • picchi di mortalità nelle fasce della popolazione più fragili e vulnerabili;
  • alterazione delle condizione di vita e lavoro (diminuzione del 5,3% in produttività per il lavoro rurale a livello globale a partire dal 2000 come risultato dell’aumento delle temperature);
  • diminuzione delle risorse idriche e della qualità dell’acqua;
  • entro il 2050 si prevedono riduzione della disponibilità di cibo a livello globale e del consumo di frutta e verdura, nonché un netto incremento in tutto il mondo delle morti correlate alla nutrizione (declino del 6% della produzione di grano e del 10% del riso per ogni grado aggiuntivo (1° C) di aumento della temperatura globale);
  • incremento dei fenomeni migratori. In futuro, si potrebbero avere 10 milioni di persone per volta in movimento per eventi climatici avversi e/o per gli effetti dei processi climatici a lungo termine ed è prevedibile che oltre un miliardo di persone a livello globale avranno necessità di migrare entro i prossimi 90 anni, a causa dell’aumento del livello del mare dovuto allo scioglimento e collasso dei ghiacci, a meno che non vengano intraprese azioni;
  • aumento della diffusione degli insetti vettori (drastico aumento del 3% e del 5,9% della capacità vettoriale per la trasmissione di Dengue di due tipi di zanzare a partire dal 1990) e, di conseguenza, del rischio di trasmissione di malattie infettive, una volta considerate esotiche e ora ri-emergenti.

 

L’innalzamento delle temperature e l’aumento d’intensità delle precipitazioni stanno determinando la diffusione di insetti vettori a nuove latitudini.

Aedes albopictus, conosciuta anche come zanzara tigre, è oggi considerata una delle principali specie invasive ed è diffusa in tutta Italia. Si prevede che gli effetti dei cambiamenti climatici favoriranno la sua diffusione in nuove aree. È stato documentato, infatti, che questa zanzara si sta adattando a climi più freddi o comunque diversi da quelli d’origine, e quindi potrebbe causare la trasmissione di malattie anche in aree precedentemente non a rischio. I cambiamenti d’uso del territorio, in particolare il fenomeno dell’urbanizzazione, potrebbero favorirne la diffusione, data la sua propensione a riprodursi in contenitori d’acqua artificiali.

Chikungunya, Dengue e Zika rappresentano le principali infezioni trasmesse dalle zanzare

Aedes e sono sottoposte a continua sorveglianza epidemiologica. Queste infezioni sono molto diffuse nelle regioni tropicali e, di norma, ogni anno vengono segnalati in Italia e in Europa casi importati, in viaggiatori di ritorno da aree infette (Figure 1 e 2).

Figura 1 – Casi di infezione da virus Chikungunya, Dengue e Zika notificati in Unione Europea-Spazio Economico Europeo, per anno di notifica, 2010-2016 (Fonte: ECDC)

 

Figura 2 – Casi confermati di infezione da virus Chikungunya, Dengue e Zika importati in Italia per anno di notifica. Sistema di Sorveglianza delle Arbovirosi, 2010-2016 (dati provvisori)

La prima segnalazione in Europa di un focolaio autoctono di Chikungunya è stata notificata dall’Italia (Regione Emilia-Romagna) nel 2007. In seguito sono stati segnalati focolai autoctoni anche in Francia, nel 2010, 2014 e 2017. Quest’anno in Italia si è verificata una nuova epidemia autoctona di Chikungunya che ha interessato le Regioni Lazio e Calabria, con oltre 240 casi confermati.

Focolai autoctoni di Dengue si sono verificati negli ultimi anni in Francia, in Portogallo nell’isola di Madeira e in Croazia.

Altra zanzara molto comune e ubiquitaria in Italia è la Culex pipiens, specie ad attività crepuscolare/notturna, che punge sia all’aperto che all’interno dei locali, dove poi riposa e digerisce il pasto di sangue.

Questo insetto vettore trasmette sia il virus West Nile (WNV), segnalato in Europa a partire dal 1958 e considerato il flavivirus più diffuso al mondo, sia il meno noto virus Usutu (USUV), anch’esso un flavivirus, osservato per la prima volta in Europa nel 1996.

Complessivamente in Italia, dal 2008 al 2016 sono stati notificati oltre 210 casi umani autoctoni e 8 casi importati di malattia neuro-invasiva da West Nile. È stata, inoltre, segnalata la circolazione del WNV in zanzare, uccelli e cavalli.

Nel 2017, in Italia sono stati confermati 55 casi umani di infezione da West Nile Virus (WNV), di questi 27 si sono manifestati nella forma neuro-invasiva, in Unione Europea sono stati riportati 198 casi umani di malattia da virus West Nile e 82 in Serbia, Turchia e Israele.

 

Figura 3 – Province con dimostrata circolazione di virus West Nile nelle persone, negli animali e nelle zanzare – 2017 (Fonte ISS – dati aggiornati all’8 novembre 2017)

 

 

Dato il complesso ciclo biologico di questa infezione, i cambiamenti climatici possono influire in vario modo sulla sua diffusione:

inverni più caldi e primavere precoci possono influenzare le attività migratorie degli uccelli, che sono gli ospiti naturali del virus;

l’aumento della temperatura, le modifiche nella piovosità e l’aumento della frequenza degli eventi climatici estremi, possono influenzare la distribuzione e la numerosità delle popolazioni di zanzare Culex.

La malaria è una malattia causata da protozoi del genere Plasmodium, trasmessi dalla puntura di alcune specie di zanzare appartenenti al genere Anopheles.

Plasmodium falciparum e Plasmodium vivax sono le specie più diffuse e causano il maggior numero di casi. Plasmodium falciparum è la specie che presenta maggiore morbosità e mortalità.

In Italia, attualmente, i vettori di malaria sono rappresentati di fatto da un’unica specie, Anopheles labranchiae, ancora presente in molte regioni dell’Italia centrale e meridionale e nelle isole maggiori. Il vettore A. labranchiae è suscettibile anche di infezione da parte di

  1. vivax importato, mentre non sembra essere possibile la trasmissione di P. falciparum.

Nel 1970 l’OMS ha incluso l’Italia tra i paesi indenni da malaria, tuttavia nel nostro paese per questa malattia resta in vigore la notifica obbligatoria.

Nel 1997 in Italia si è avuto un caso di malaria autoctona, con un’infezione probabilmente dovuta a P. vivax, proveniente dall’estero, inoculato da una An. labranchiae indigena. È stato l’ultimo caso accertato di infezione contratta in Italia per puntura di zanzara. Altri casi di malaria autoctona sono stati attribuiti a malaria aeroportuale.

I dati epidemiologici recenti, relativi al 2016, mostrano 888 casi di malaria notificati, tutti i casi risultano essere d’importazione.

Fasi indispensabili per l’attuazione di un programma di prevenzione sono la continua sorveglianza dell’anofelismo residuo, l’individuazione delle zone a rischio e la distribuzione sul territorio dei casi importati di malaria. Eventuali cambiamenti ambientali e climatici potrebbero comportare variazioni nella densità e nella distribuzione delle popolazioni anofeliche.

L’attività delle zecche e il loro ciclo biologico è correlato a fattori ambientali (temperatura, umidità del suolo e umidità relativa). Estati umide e autunni temperati favoriscono la densità della popolazione di zecche. L’habitat si è notevolmente ampliato negli ultimi decenni: recentemente, le zecche vettrici dell’encefalite virale da zecche (tick-borne encephalitis – TBE) possono essere trovate in aree più settentrionali dell’Europa e a quote più elevate di qualche decennio fa. Sono presenti nei boschi decidui, nel sottobosco e sui bordi dei sentieri dove trovano un microclima fresco e umido, in attesa del passaggio di un ospite (animale o persona). Tuttavia, per effetto del cambiamento dell’uso del suolo (spazi verdi nelle città) e della gestione della fauna selvatica, le zecche sono presenti anche in siti urbani e peri-urbani in molti paesi europei.

Le zecche, e in particolar modo Ixodes ricinus e Ixodes persulcatus (quest’ultima attualmente presente in Europa nord orientale ma assente in Italia), operano sia come vettori che come serbatoi.

L’encefalite virale da zecche (tick-borne encephalitis – TBE) è una malattia infettiva virale che colpisce il sistema nervoso centrale e può causare sintomi neurologici prolungati e, in alcuni casi, la morte. È considerata un crescente problema di sanità pubblica in Italia, in Europa e in altre parti del mondo. A livello europeo la malattia è notificabile dal 2012.

I dati pubblicati dal Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC) riportano che nel 2014 sono stati segnalati 2.057 casi in totale e indicano che le aree endemiche sono in via di espansione, includendo aree ad altezze maggiori. In Italia dal 2000 al 2016 sono stati segnalati 456 casi di TBE, malattia identificata per la prima volta nel 1978 in Toscana, e ricomparsa nel 1994 in provincia di Belluno, diffondendosi con maggior frequenza in alcune regioni (Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Trento, Bolzano).

Figura 4 – Casi confermati di TBE segnalati in Italia per mese – 2000-2016 (Fonte: Istituto Superiore di Sanità)