ZIBALDONE

IL PARADISO non PUO’ ATTENDERE

Di Frederick Greenhouse

 

Paradise, è una città di 27.000 anime, o forse è meglio dire era, ai piedi della Serra Nevada in California, che in pochi istanti ai primi di Novembre è stata quasi completamente distrutta dal Camp Fire, l’incendio che in pochi giorni si è propagato nella California settentrionale distruggendo coltivazioni per oltre 62 mila ettari, pari ad una superfice di 88.645 campi di calcio e quasi 14 mila abitazioni, più di 500 mila esercizi commerciali e 4.000 edifici pubblici Cam Fire è stato l’incendio più violento che la California abbia mai conosciuto e oggi alla conta dei danni, mancano più di 600 dispersi s fronte degli 83 morti registrato.

Pensate ad un Alto forno che brucia a 1200 gradi e che spinto dal vento secco e caldo proveniente dal nord il “Santa Ana”, che ha cancellato dalla mappa una comunità che credeva di aver trovato in questo angolo della California il Paradiso. Lungo la shyway che taglia in due la città di Paradise, solo ammassi di case bruciate, carcasse di auto, testimoniano di una lotta tra uomo e natura, che ha visto quest’ultima dominare. Il 95 per cento di Paradise è distrutto e il rimanente 5 per cento sono edifici che stanno a malapena in piedi a triste testimonianza di quello che era una città con più di cento anni di storia, che aveva gli edifici antichi tutti allineati sul vialetto. Quasi tutte le aziende erano di proprietà locale e includevano un mix di antichi negozi, mercatini dell’usato, piccoli ristoranti, due bar e molte chiese Una comunità accogliente, meta di turisti che a nord di sacramento volevano scoprire la vera America. I sopravvissuti, raccontano di fiamme alte quasi 10, 15 metri di altezza, che spinte dal vento, avvolgevano tutto e lasciavano al loro passaggio solo distruzione. Quelle strade della Contea di Buttle, ormai ridotte a depositi fumanti e carbonizzati di quello che resta della quotidianità delle case, i patii, le biciclette, i putti e gli angeli decorativi da giardino, i barbecue raccontano una realtà stravolta e che non tornerà più come prima. Una natura che per riprendersi avrà bisogno di anni e che non potrà tornare ad essere quell’angolo di Paradiso dove la foresta di pini gialli, era la cornice del luogo del buon ritiro, scelto dalla middle class americana, in età di pensione, per cullare sogni di una vita semplice a contatto con al natura. Una tragedia quella degli anziani, che avevano di trasferisi sin qui, lontano dai mega centri urbani, dove avevano speso tutta la loro vita lavorativa, lontani dai figli, che vivono oggi a migliaia di chilometri di distanza e che ora tutto quello che hanno è una branda nel palazzetto di basket di Fairground.

In questa città, a cinquecento metri di altezza, a Camp Creek, da qui il nome dell’incendio, per cause ancora ignote, forse per un cortocircuito in una centralina elettrica, si è innescato questa apocalisse di fuoco senza precedenti. Di chi la colpa di questo disastro? Il Presidente Trump, indica nella cattiva gestione, da parte dello Stato della California del patrimonio forestale, Ryan Zinke, Ministro dell’interno USA, incolpa gli ambientalisti, che a suo dire preferirebbero bruciare l’intera foresta piuttosto che sfoltirla o tagliare un albero. Per Jerry Brown, il Governatore della California, sempre critico sulle politiche del Presidente Trump sul clima, andrà anche peggio nei prossimi anni, se l’uomo non saprà confrontarsi con la natura e i cambiamenti climatici. Per gli urbanisti la colpa di aver costruito in modo dissennato, con abitazioni troppo ravvicinate tra loro, dove gli appena 15 metri di distanza tra una casa e l’altra, ha consentito al fuoco di propagarsi velocemente. Un’analisi che lascia sconfitto l’uomo, con la sua saccenza, protervia e arroganza, e che fa vedere come la natura può in pochi momenti riprendersi quello che gli hai tolto o quell’attenzione che le viene negata. E così sulla “Camp Crek Road” l’8 Novembre si è consumata una tragedia, che segnala la triste realtà dell’incapacità degòli uomini di poter convivere con la natura. Forse è arrivato il momento di pensare che ormai il “Paradiso non può attendere”.