Piantare il seme del futuro

Dal 2005 al 2009 , ben 48 mila aspiranti soldati erano stati scartati, perché troppo grassi per combattere. Un numero impressionante: basti pensare che superava quello dei militari americani di stanza in Afghanistan. Tutto questo malgrado le regole dell’esercito degli Stati Uniti non erano ferree: veniva tollerato un tasso di grasso corporeo del 26% per i maschi, e più alto per le donne. Ma malgrado questo un americano su cinque, in età da militare, era obeso. E la a percentuale era quasi doppia per le donne. “Truppe in forma e in buona salute sono essenziali per la nostra sicurezza – dichiarò all’epoca Leslie Hull-Ryde, portavoce del Pentagono – e devono essere preparate fisicamente in ogni parte del mondo – ha aggiunto – anche nelle condizioni più impegnative”. Già dopo la Prima guerra del Golfo, nel 1992, oltre 3.000 militari furono allontanati dall’esercito per problemi di forma, ma con la Seconda guerra del Golfo la pratica era diventata molto meno comune: nel 2007, solo 112 soldati erano stati rimandati in patria. Negli anni più duri dei conflitti in Iraq e Afghanistan, l’esercito aveva concesso una deroga ai militari sovrappeso entro certi limiti per poter sopperire alla domanda di forze sul campo. Ma il problema si evidenziava in maniera drammatica al momento dell’arruolamento dove appariva chiaro che arrivavano alle commissioni militari una quantità rilevante di ragazzi dopo 18 anni passati su un divano, davanti alla tv, con hamburger in mano.

Un problema rilevante evidenziato da Curtis Gilroy, capo-ammissioni del Pentagono, che dichiarava“ in un momento in cui le forze armate Usa avrebbero un estremo bisogno di ricambi, l’obesità si configura come una crisi nazionale: i giovani tra 17 e 24 anni sono sempre più inadatti alle armi. E questo ci preoccupa molto”. Generazioni future minate nella propria aspettativa di vita, sistema sanitario fragile e cronicizzato, disparità etinico-sociali, riduzione di produttività lavorativa, vi erano tutti gli elementi di una lotta che però doveva essere tarata non sulla discriminazione delle persone obese o sugli stigma, ma su un recupero di un sano e corretto stile di vita. Se il fitness era un tema da ricchi che si potevano permettere le palestre, i personal trainer, il tempo per lo jogging e pranzi ben equilibrati, il tema della sana alimentazione era un tema da poter portare nelle famiglie, nelle scuole e in tutto il tessuto sociale del Paese, un tema proprio da First Lady. Il 10 Ottobre del 2010, dopo più di un anno dalla nascita del White House Kitchen Garden, Michelle Obama lancia nella lotta contro l’obesità il programma Let’s Move. Quel giorno la First Lady presentò Let’s Move, come una campagna contro l’obesità negli Stati Uniti con l’obiettivo di insegnare ai bambini uno stile di vita che includa un’alimentazione più sana e incorpori un maggiore esercizio fisico.

“Muoverei mari e monti per dare ai miei figli la possibilità di primeggiare in ogni modo, e anche nella forma fisica”, disse quel giorno Michelle Obama a Usa Today. “Let’s Move opera secondo il principio che ogni famiglia voglia lo stesso per il loro bambino. E troveremo il modo per aiutarle a farlo più facilmente”. Una iniziativa che trovò subito l’endorsement del presidente degli Stati Uniti Barack Obama che commentando l’iniziativa della moglie sottolineò come la stessa affrontava uno “dei problemi sanitaria più urgenti del paese”. Ma si preoccupò a sottolineare che “alcune delle iniziative, come sgravi fiscali per i negozi di alimentari che si trasferiscono in comunità dove l’accesso al cibi di qualità è carente, avranno bisogno dell’approvazione del Congresso.” Era questa la deriva politica che si sposava all’iniziativa sociale della First Lady. I comunicatori che affiancavano il Presidente e la First Lady, evidenziarono in una serie di note riservate che il pericolo poteva essere però rappresentato dallo stigmatizzare troppo alcune abitudini di vita e di alimentazione che erano proprie della cultura degli americani, che potevano vivere la campagna come una forma di essere messi all’indice. Insomma un boomerang politico da evitare. In un’intervista con la rete ABC la First Lady consigliata dal proprio staff dichiarò allora di “amare gli hamburger e le patatine fritte. E amo anche il gelato e la torta. Come li amano la maggior parte dei bambini” e aggiunse che la sua iniziativa “non riguarda uno stile di vita che li escluda del tutto. Il problema è come facciamo ad aiutare le persone ad avere un equilibrio in modo che non debbano affrontare malattie pericolose”. L’obiettivo dichiarò, è che la gente “mangi la verdura, vada a correre, faccia esercizio e abbia comunque lo spazio per godersi una mangiata senza rimorsi una volta ogni tanto”.

L’era di Let’s move era cominciato, ma con una sana prudenza. Michelle Obama aveva ben chiaro che il progetto e sin dall’inizio evidenzia che il progetto “richiederà uno sforzo da parte di tutti e nessun esperto su questo pianeta può dire che siano sufficienti le raccomandazioni del governo affinché la gente modifichi il proprio stile di vita”. Let’s move viene presentata come un’iniziativa globale, lanciata direttamente dalla First Lady, dedicata a risolvere il problema dell’obesità nell’arco di una generazione, in modo che i bambini nati oggi potranno crescere sani e in grado di perseguire i loro sogni. Certo, si tratta di un obiettivo ambizioso. Ma con Michelle Obama punta sull’emozioni delle madri dicendo che “ con il vostro aiuto, siamo in grado di farlo”

Una Task Force governativa contro l’obesità infantile e che conduca una revisione di ogni singolo programma e delle relative iniziative in materia di nutrizione infantile e di promozione dell’attività fisica. Il Memorandum punta a sviluppare un piano d’azione nazionale per massimizzare le risorse federali e impostare parametri concreti di riferimento verso l’obiettivo nazionale promosso dalla First Lady. Le raccomandazioni della Task Force basava la propria azione sui cinque pilastri base:

  1. Sviluppo sano dei bambini sin dai primi anni di vita
  2. Dare un ruolo ai genitori ai genitori e agli operatori sanitari nella promozione dei corretti stili di vita
  3. Fornire cibo sano nelle scuole
  4. Migliorare l’accesso a cibi sani e a prezzi accessibili
  5. Aumentare l’attività fisica

L’ orto di Michelle diventa esempio positivo e il progetto Let’s me know diventa laboratorio di buone pratiche, dove esperti, medici, testimonial, studenti e comunicatori si trovano assieme per promuovere un nuovo concetto di stile di vita americano. Con Let’s Move comincia un dialogo nuovo e coinvolgente su come vivono e si alimentano le famiglie statunitensi e i risultati danno ragione alla First Lady, superando ogni rosea aspettativa con 1,6 milioni di bambini che frequentano asili nido più sani dove frutta e verdure hanno sostituito biscotti e succhi di frutta; e nelle mense scolastiche più di trenta milioni di bambini consumano prime colazioni e pasti di mezzogiorno più sani e più equilibrati. Nelle scuole il programma Let’s move consente a due milioni di bambini di avere nelle loro mense un buffet con insalate e verdure promosso e altri nove milioni di bambini sempre nelle iniziative scolastiche del progetto fanno almeno sessanta minuti di attività fisica ogni giorno. Inoltre migliaia di catene di ristoranti in tutti gli States hanno creato menù più sani per i bambini, e i produttori alimentari e di bevande analcoliche hanno ridotto le calorie dei loro prodotti di 6.400 miliardi di calorie.

Le città statunitensi dove urbanizzazione e sviluppo delle malattie croniche trovano un mix letale per le generazioni future, per la prima volta cambiano i loro programmi e oltre settanta milioni di persone che vivono in città fortemente urbanizzate , che aderiscono al programma di “Let’s Move, cominciano a dare ai bambini prospettive in termini di qualità di vita differenti. I bambini vanno a scuola a piedi su nuovi marciapiedi appositamente costruiti, partecipano a programmi estivi che offrono pasti sani e vengono avviati all’attività sportiva grazie alle società sportive locali. I ministri di culto delle varie religioni insegnano alle loro congregazioni l’importanza del mangiar sano attraverso “Let’s Move. Fede e Comunità”; famiglie intere diventano più attive attraverso il trekking nei parchi nazionali attraverso l’iniziativa “Let’s Move! All’Aria Aperta”. La cultura contribuisce aprendo ai bambini mostre che educano ad una sana alimentazione in circa 700 musei e giardini che aderiscono a “Let’s Move! Musei e Giardini”. Questi cambiamenti cominciano ad aver un impatto sulla cultura americana e sulle consuetudini delle famiglie americane in tema di stili di vita. I tassi di obesità infantile finalmente si arrestano , ma bisogna essere consapevoli che è un successo ancora fragile, che non può essere interotto e che deve andare al di là dei due mandati Presidenziali, Trump permettendo. La famiglia, per la First Lady, deve avere un ruolo primario, ritrovandosi nella voglia di essere nucleo, anche attraverso la preparazione tutti assieme dei pasti, assicurandosi così una sana alimentazione collettiva. Quando una famiglia cucina a casa, evitando i fast food, può controllare meglio la propria dieta, decidendo gli ingredienti, la misura delle porzioni e la quantità di verdure. Si può cominciare con un piccolo passo come ad esempio, cominciando a preparare almeno un pasto a settimana, coinvolgendo l’intera famiglia nella preparazione.

E a famiglia Obama vuole essere d’esempio per tutte le altre famiglie americane e Michelle Obama, in numerose interviste evidenzia come il tipico pranzo della famiglia Obama include proteine magre, cereali integrali e verdure. Per esempio, pollo al forno con riso integrale e broccoli, o pesce alla griglia con cous cous e un’insalata verde. Ma Michelle Obama sa benissimo che le donne continuano ad avere un ruolo importante nel gestire le esigenze alimentari della famiglia. Le donne hanno bisogno di essere informate e di avere la possibilità di decidere di fare della propria salute e di quella delle loro famiglie una priorità. E questo significa innanzitutto rendere i prodotti alimentari sani alla portata di tutti, cioè convincere più negozi e mercati a servire i quartieri e le comunità che finora sono stati più trascurati in questo senso. Significa anche assicurare alle famiglie un reddito sufficiente per poter tranquillamente comprare quei cibi. Ma forse tutto questo non basta se non si riesce a trovare un buon equilibrio tra tutte le componenti della propria vita. La mancanza di flessibilità e di tempo non può favorire stili di vita salutari. La stessa Michelle ricorda che quando nacque la primogenita Malia, lei passava notti insonni e la madre le fece notare come non essere in forma significava alla lunga non essere in grado di poter prendersi cura della figlia. Ma molte donne non riescono ad avere questa flessibilità Un invito anche alle madri a pensare che la salute dei propri figli comincia sin dalla prima ecografia, dai primi passi e dal primo giorno di scuola.