SIAMO TUTTI IN QUARANTENA

ZIBALDONE  di  Frederick Greenhouse

«La scomparsa dell’Uomo alla fine della Storia non è dunque una catastrofe cosmica: il Mondo naturale resta quello che è da tutta l’eternità. E non è nemmeno una catastrofe biologica: l’Uomo resta in vita come animale che è in accordo con la Natura o con l’Essere-dato. Ciò che scompare è l’Uomo propriamente detto…» Alexandre Kojève, filosofo

 

Josè Saramago, premio Nobel per la letteratura nel 1998, nel libro “ensaio sobre a ceguira” (saggio sulla cecità, raccontava di un uomo che fermo al semaforo, improvvisamente si accorge di essere diventato cieco e andando dal proprio medico, lo contagia di questa misteriosa malattia e lo stesso accade per tutte le persone che erano nella sala d’attesa dello studio medico.

Una vera epidemia che impone al governo di mettere tutti in quarantena, e i ciechi divisi in gruppi, tornano in uno stato primitivo, lottando per accaparrarsi il cibo, svuotando i supermercati e lucrando con i beni di prima necessità. Si vengono a formarsi delle fazioni, dove il seme della cattiveria trova terreno fertile nell’indifferenza e dove le persone finiscono per esternare gli istinti peggiori.

Eppure quanto sta avvenendo in queste settimane  qualche cosa dovrà insegnarci.

Sembra la trama di un film thriller, drammatico e catastrofico, uno di quei film dove l’esistenza umana è in pericolo a causa di un micidiale virus potenzialmente in grado di cancellare la razza umana. Nel 1995 Wolfgang Petersen diresse il film Virus letale (Outbreak), con Dustin Hoffman, che liberamente ispirato alle ricerche epidemiologiche sui virus di provenienza africana, narrava della improvvisa espansione di una mortale malattia in grado di minacciare il mondo e che trova in una cittadina americana, Cedar Creek, il focolaio di diffusione a causa di una scimmietta proveniente dall’africa, che è il cosidetto ospite, ovvero il portatore sano.

Sembrava fantascienza ma è in parte realtà ed è quello che è successo dal 17 Novembre a Wuhan, città  focolaio del nuovo coronavirus simile alla Sars, dove le autorità hanno ordinato lo stop alla circolazione delle auto nelle strade della città, bloccato di fatto tutte le attività e messo in quarantena la provincia di Hubei, dove in totale sono 18 le città che sono state poste in  isolatamento  a causa del blocco dei trasporti deciso nel tentativo di fermare il propagarsi dell’epidemia. Misure che hanno portato all’isolamento di 56 milioni di persone, per evitare gli effetti pandemici, potenzialmente mortali

Una popolazione quasi quanto quella dell’Italia.

E questa dimensione apocalittica che sembrava appartenere solo alla Cina, improvvisamente ci tocca da vicino e ci accorgiamo che l’Italia è la Nazione con maggior numero di contagi e di morti per Coronavirus e che la quarantena realizzata a Whuan oggi tocca a tutti noi, con scuole, uffici e negozi chiusi.

Anche noi siamo circa 60 milioni di abitanti, ma con sistemi sociali completamente differenti da quelli cinesi, scopriamo cosa è lo smart working, ci affidiamo alla rete internet nazionale mai sviluppati, viviamo forzatamente chiusi a casa, facciamo la fila per fare la spesa, scopriamo cosa sono le misure di contenimento e distanziamento sociale  e ci accorgiamo che per tutto il mondo sono gli italiani possibile veicolo di contagio e diventiamo noi gli “untori”.

Improvvisamente ci accorgiamo di abitare in un “condominio globale” dove temi come l’ambiente e la salute ci tengono tutti sotto lo stesso ombrello nella ricerca di problemi e soluzioni.

Ci rendiamo conto che in questo “condominio globale” abitano i responsabili, fortunatamente i più e gli irresponsabili fortunatamente pochi, tutti sono esperti di igiene pubblico e virologi , che hanno riscoperto il valore della parola comunità, di far fare i compiti ai propri figli e di come gli anziani siano fragili.

La SARS (acronimo di Severe acute respiratory syndrome), forma atipica di polmonite apparsa per la prima volta nel novembre 2002 nella provincia del Guangdong (Canton) in Cina, è stata affrontata e in parte sconfitta con le armi della tradizione e dell’innovazione.

La tradizione era nella quarantena, messa in atto dalla Repubblica di Venezia nel 1377 per contenere la diffusione della peste nera, mentre l’innovazione era nel creare una rete di virologia globale, favorita dalla tecnologia informatica e digitale, che si scambiasse in termini reali tutte le informazioni raccolte e studiate. Questo mix del “condominio globale” ha permesso di affrontare senza isterismi un evento eccezionale come la scoperta di un nuovo virus, affrontare e sconfiggere quello che poteva essere uno sviluppo endemico della SARS.

La virologa Ilaria Capua, direttrice dell’One Health Center of Excellence dell’Università della Florida  dice   che “Il coronavirus lascerà più segni nelle nostre coscienze che nei nostri corpi. Questo virus è come un granellino di colla che ha bloccato tutti gli ingranaggi, ma ci pone di fronte a grandissimi interrogativi anche etici: il rispetto della vita, il proteggere se stessi per proteggere gli altri, il grandissimo esercizio di solidarietà e di responsabilità collettiva che siamo chiamati a fare”.

Temi che colgono impreparati tutti noi e colgono impreparati anche molti governanti, vedi l’approccio schizofrenico di Boris Johnson e del Regno Unito, o di Donald Trump negli Stati Uniti, e i temi etici risultano importanti e scandiscono il dibattito globale.

Le sfide che ci pone oggi il dover affrontare il coronavirus ci potrebbero servire per imparare che i grandi temi che riguardano il Pianeta Terra non posso appartenere a una parte eletta di individui, ma che gli stessi debbono essere affrontati da esperti in grado di indicarci  a una parte della popolazione, ma a tutti noi abitanti di questo “condominio globale”.