ZIBALDONE

Chissà come è la terra vista dallo spazio, se è possibile percepire le tante mutazioni che sta vivendo e che è destinata a vivere in futuro.
Forse ancora dallo spazio l’azzurro degli oceani e il verde delle foreste, mimetizza l’avanzamento delle grandi urbane.

A cura di Fedrick Greenhouse

Però basta che la Terra venga vista di notte e allora le luci dei grandi agglomerati urbani prevalgono ed è chiaro come in alcune aree si concentrano le persone e che l’immagine del nostro Pianeta cambia radicalmente.

Nell’Aprile del 2017 la Nasa pubblicò e rese disponibili al pubblico le mappe della Terra di notte, immagini satellitari che mostravano la distribuzione delle città e delle attività a impatto umano. Queste mappe permettono di verificare le aree di sviluppo economico ed industriale e soprattutto i flussi di urbanizzazione nel nostro Pianeta.

Su questo Pianeta fatto da città – dove più della metà di noi vive in aree metropolitane – la nostra sopravvivenza dipende dalla pianificazione di ambienti urbani più sani. Oggi, dove vivi è un fattore predittivo maggiore e ti permette di poter determinare “se morirai presto o soffrirai di malattie prevenibili rispetto al tuo codice genetico”, su come l’ambiente è destinato a essere condizionato dall’urbanizzazione. La ricchezza, lo sviluppo economico e l’assistenza sanitaria sono sicuramente importanti, ma la sopravvivenza planetaria dipenderà in ultima analisi dalla possibilità di rendere alcuni dei luoghi della terra – città nel nord e nel sud del mondo – più equi e salutari per tutti.

Un modo per aumentare l’equità della salute urbana è smettere di considerare le persone solo meri numeri, non considerando condizioni di vita e di lavoro hanno un significativo impatto sulla loro esistenza.

Ciò significa che i Governi, nei loro periodici Summit, debbo passare dalla discussione ai fatti per garantire che l’equità sulla salute – affrontando le persistenti differenze nelle malattie e l’aspettativa di vita tra gruppi etnici, classi economiche e luoghi di residenza – sia integrata in tutte le politiche e nei processi decisionali.

E allora potremmo chiederci,perché questo non lo facciamo già?

Uno dei motivi per cui non riusciamo a integrare la salute e l’equità nel processo decisionale della città, è che i responsabili politici e i pianificatori continuano a considerare la salute urbana alla stessa stregua di come si debba considerare una macchina; i differenti attori si concentrano su parti e pezzi separati, chi sulle strade, chi sulla sicurezza, chi sul singolo pezzo di ricambio, chi sulla struttura, dimenticando l’insieme complesso del sistema. Prevale l’autoreferenzialità e la mancanza di lavorare assieme, prevale spesso la logica dell’interesse particolare e non generale, del potere di decidere e non della voglia di fare, trascurando come le persone debbono modellare e interagire sul tema dell’urbanizzazione e della salute.
Una seconda ragione è che la scienza e la ricerca tendono anche a focalizzarsi su parti singole del problema e scientificamente rilevanti – input e output di città – piuttosto che sugli aspetti globali e valutare i molteplici modi in cui le persone innovano e trovano il modo di essere resilienti di fronte alle avversità quotidiane.
Mentre il tema del Health in All Policies (HiAP) inizia a guadagnare attenzione politica, sociale e mediatica in tutto il mondo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, richiede fondamentalmente un approccio che porti ad allontanarci dal paradigma biomedico dominante che si concentri di volta in volta solo su una malattia o un fattore di rischio o un comportamento non salutare.
HiAP fondamentalmente sposta la scienza delle città verso una scienza più integrata, partecipativa e orientata all’azione, in cui i bisogni urbani vengono identificati dai residenti insieme ai professionisti.
Un approccio quello di HiAP che può aiutare a prevenire passi falsi, individualistici e garantire invece che un approccio integrato promuova strategie di equità e salute sostenibili. Ci sono alcune componenti chiave di questa nuova scienza per le Healthy Cities.
In primo luogo, gli stessi membri della comunità, Amministratori, Università, Autorità Sanitarie, Urbanisti, Medici, Sociologi, devono essere considerati esperti e definire soluzioni e lavorare con professionisti delle scienze sociali e naturali. Non esiste più un primato culturale e operativo che spetti alla sola classe politica, ma lo stesso deve essere condiviso nel concetto ampio di comunità.

Secondo, le soluzioni devono affrontare la combinazione di disuguaglianze strutturali – dalla povertà, alla segregazione ,al razzismo – e abusi dei diritti umani che generano esposizioni malsane ma prevenibili nelle città per i meno abbienti.

In terzo luogo, le politiche devono integrare analisi e interventi di discipline e settori che nell’ultimo secolo o più sono stati frammentati e segmentati e non incentrati sulle disuguaglianze sanitarie urbane.

Infine bisogna pragmaticamente riconoscere che lo studio dell’impatto sulla salute dell’urbanizzazione, è un processo complesso, non statico, e che gli interventi migliorativi sono probabilmente il ​​più delle volte incompleti.
Questo non richiede più studi – come potrebbe suggerire la scienza di oggi – ma piuttosto una scienza dell’apprendimento dagli esperimenti attraverso un monitoraggio e una misurazione forte e concreta di ciò che di positivo è stato fatto e di ciò che invece non funziona.
Solo da questo apprendimento continuo devono venire gli aggiustamenti costanti nelle politiche a livello cittadino ed è spesso inutile concentrarsi con ego autoreferenziale solo sulle cose buone, non aprendosi al confronto e alla critica.

Nel 21° secolo, salute, equità e sostenibilità devono essere obiettivi collegati per la nostra sopravvivenza.

Dobbiamo chiedere alle politiche e alla scienza di concentrarsi nuovamente su un nuovo approccio integrato alle città più sane. Questo può aiutare a garantire che la politica urbana sia una forma di medicina preventiva.

E’ possibile tutto questo oggi che il tema dell’Urban Health torna ad essere preponderante?

Spesso viene il dubbio che il tema generi attenzione a tutti i livelli, ma scarsità di capacità di integrazione tra i vari soggetti, ognuno che si ritiene depositario di una verità gestionale, che finisce per porsi in chiave competitiva e non integrativa con altri soggetti pubblici e privati che vogliono portare il loro contributo fattivo sul tema.

L’interesse generale allora cede il posto all’interesse particolare e la visione del Pianeta Terra visto dallo spazio finisce per apparire della sua dinamicità, purtroppo statico e privo di vere soluzioni.

Spesso si avverte la diffidenza dell’amministratore locale che rifiuta il confronto su questi temi, rifugiandosi o in politiche “estetiche cittadine” o in reti consociativiste “tra pari” , dove avviene il rifiuto a nuovi modelli di approccio.
Accanto a questo però a livello internazionale nascono e crescono fortunatamente iniziative importanti che animano il confronto tra esperti e amministratori cittadini, nell’ottica del comune interesse e proprio da queste esperienze spesso nascono quei modelli che possono migliorare il volto del Pianate Terra e dei suoi abitanti in futuro.